L’ultima udienza del processo Reset, in corso di svolgimento presso l’aula bunker di Castrovillari, ha visto al centro dell’attività dibattimentale le dichiarazioni di numerosi testimoni coinvolti nell’inchiesta della Dda di Catanzaro contro la ‘ndrangheta cosentina.

La prima testimonianza

Un testimone ha dichiarato di conoscere Rosanna Garofalo sin dai tempi in cui gestiva un bar in via della Repubblica a Cosenza. Sebbene il locale fosse di sua proprietà, la gestione coinvolgeva anche parenti e amici, ha spiegato all’avvocato Laura Gaetano. Tuttavia, ha precisato di non aver mai avuto rapporti economici con Garofalo. Anche sua sorella la conosceva, senza mai aver avuto problemi con lei. Interrogato dal pubblico ministero Vito Valerio, il testimone ha affermato di conoscere Francesco Patitucci solo di nome e di essersi informato su di lui tramite la stampa, sapendo che all’epoca fosse il marito di Garofalo. Ha inoltre riferito che Danilo Turboli, ex fidanzato della sorella, non era una persona che frequentava. Non ha mai conosciuto personalmente Roberto Porcaro, ma solo tramite i giornali.

Andrea Mazzei e il Settimo Cafè

Un altro testimone, esaminato dall’avvocato Michele Franzese, ha raccontato di aver conosciuto Andrea Mazzei nel suo studio, dopo aver deciso di cambiare commercialista per aprire un’attività. Ha dichiarato che l’iniziativa coinvolgeva anche il padre Giuseppe e Giuseppe Perrone. Data la giovane età, aveva bisogno di una figura adulta al suo fianco. Perrone fu poi assunto dalla Settimo Cafè, mentre Porcaro, ha dichiarato, non partecipò ad alcun incontro.

Ha specificato che Mazzei non ha mai chiesto denaro per nessuno. Nell’ufficio si tenne un corso e un esame con persone provenienti da Roma, al termine del quale il finanziamento andò a buon fine. La Settimo Cafè aveva un conto corrente su cui solo lui poteva operare. Ha ricordato che la banca impose inizialmente una polizza assicurativa, successivamente annullata. Gli ispettori di Invitalia effettuavano controlli regolari e positivi. L’attività prosperava e le rate del mutuo venivano pagate con regolarità anche durante il periodo Covid che aveva tagliato le gambe all’economia italiana e mondiale.

Rispondendo alle domande del pm, ha precisato che la società era una Sas, costituita probabilmente nel 2018, con altri soci. Il padre lo supportava nell’ambito della ristorazione, senza però avere un ruolo formale. Non ha saputo dire se fossero stati effettuati bonifici a favore del padre, ma ha confermato che il locale fu realizzato con i fondi ottenuti. Tra le aziende coinvolte, ha citato FG Security per gli impianti elettrici e un’impresa di arredamenti. Non ha ricordato la parcella di Mazzei.

Interrogato dalla difesa di Giuseppe Broccolo, rappresentato dall’avvocato Angelo Pugliese, ha confermato che il padre contribuì economicamente, poiché non tutto era finanziato da Invitalia. Gli altri soci erano giovani e il padre aveva esperienza nel settore e si occupava delle materie prime. La Settimo Cafè operava dalla mattina fino a tarda notte. Oggi, il testimone lavora ancora nella ristorazione. Perrone, esperto nella gestione della sala, lavorava in precedenza al Rusticone. Riguardo alla gestione finanziaria, ha spiegato che i pagamenti venivano gestiti da lui e da Perrone. Non ha mai saputo di eventuali rapporti economici di Perrone con Porcaro.

L’allevamento di lumache

Un altro testimone ha dichiarato di aver gestito un bar a Sant’Antonello di Montalto Uffugo fino al 2015. Successivamente, Giuseppe Broccolo propose di trasformarlo in un circolo, idea che fu accettata. La gestione passò alla sua famiglia. Il testimone abitava sopra il locale.

Ha raccontato di un episodio inquietante: durante un tentativo fallito di avviare un allevamento di lumache, stroncato da un forte temporale, la suocera trovò una bottiglia incendiaria sul posto. Broccolo consigliò di non intervenire e, in caso di ulteriori episodi, di procedere legalmente. Dopo quell’evento, non accadde più nulla.

Interrogato dal pm, ha riferito di essersi rivolto a Broccolo perché sapeva della sua parentela con i Di Puppo, noti per i loro legami con ambienti malavitosi. Broccolo minimizzò l’accaduto, affermando di non dare peso a quanto avvenuto. La difesa ha chiesto chiarimenti sulla conoscenza con Broccolo, e il testimone ha riferito di conoscerlo da oltre quarant’anni, descrivendolo come una persona laboriosa.

La moglie del terzo testimone ha confermato che il marito gestiva il bar, mentre lei, ingegnere, non era coinvolta direttamente. Dopo la chiusura, Broccolo lo trasformò in un circolo e successivamente tentò l’allevamento di lumache, ma un temporale distrusse tutto. La suocera trovò una bottiglia sospetta, ma non ricevettero minacce dirette.

Interrogata, ha dichiarato di aver chiesto a Broccolo se conoscesse qualcuno che potesse spiegare l’episodio. Lui rispose di non interpellare nessuno altrimenti sarebbero stati costretti ad immischiarsi con certa gente. Non ricordava se avesse mai consigliato di denunciare.

La posizione di Pino Munno

Un testimone ha riferito di conoscere Pino Munno, residente a Rende, con il quale aveva avuto contatti per questioni amministrative, come la riparazione della statua di Padre Pio che era di proprietà del Comune. Ha dichiarato che Munno gli chiese il voto. Ha confermato di averlo votato, ma ha negato di aver fatto campagna elettorale per lui.

Un altro testimone ha ammesso di aver votato per Munno e di averlo contattato per problematiche relative alla manutenzione del territorio, come buche stradali e illuminazione. Munno, a suo dire, si impegnava in questi interventi, ha detto all’avvocato Gianluca Garritano.

Volpentesta-Marigliano, botta e risposta

In chiusura il doppio caso Volpentesta-Marigliano. La moglie di quest’ultimo ha dichiarato di conoscere l’ex difensore dilettantistico dal 2017, poiché era un suo fornitore di droga che condivideva con il compagno di vita quando scendevano l’estate in Calabria. Volpentesta aveva un debito di 250 euro con il marito della testimone, che successivamente interruppe ogni rapporto. Ha dichiarato di aver visto Adolfo D’Ambrosio una sola volta e di non conoscere altri nominativi citati dal pm.

Chiusa la testimonianza della donna, si è passati all’esame dell’imputato. Stefano Marigliano si è sottoposto prima alle domande del suo difensore, Gianluca Garritano, poi a quelle del pm e infine ai quesiti posti dall’avvocato Ugo Ledonne, difensore di Volpentesta.

Marigliano ha dichiarato di conoscere Adolfo D’Ambrosio dagli anni ’90, ma di non aver mai avuto rapporti con lui. Non conosce Simone Ferrise, mentre sa chi è Ivan Montualdista perché lavorava alla Despar. Conosce Fabiano Ciranno e Massimo Volpentesta fin da piccolo, considerando quest’ultimo un amico, al quale chiedeva la droga da consumare in estate. Nella precedente udienza, Volpentesta aveva dichiarato che Marigliano lo aveva accompagnato da Ferrise, ma l’imputato in questo caso ha smentito questa circostanza.

Sempre Marigliano ha raccontato che Volpentesta gli riferì di un debito di droga di 2-3mila euro maturato con quelli dello stadio. Gli presentò Adolfo D’Ambrosio, che non lo minacciò mai. Ha negato di aver mai dato denaro a D’Ambrosio per conto di Volpentesta. Poi ha illustrato l’episodio del pestaggio ai danni di Volpentesta che, a suo dire, aveva preso 50 grammi di cocaina per cercare di saldare il debito di droga che aveva in precedenza. Lo stesso Volpentesta, durante il suo esame, aveva spiegato di essere stato vittima dell’aggressione che Marigliano ha rivelato essere stata perpetrata da Fabiano Ciranno, il quale successivamente prese l’auto di Volpentesta e se ne andò.

Interrogato dal PM, ha confermato di aver acquistato droga da Volpentesta, pagando regolarmente. Dopo la sottrazione dell’auto, non ebbe più contatti con lui.

Infine, Marigliano ha dichiarato al difensore di Volpentesta di non avere ceduto droga al suo assistito, spiegando di aver assunto un grammo (del valore di 70-80 euro) di sostanza stupefacente ogni tre giorni, confermando che Volpentesta si lamentava della scarsa qualità della “roba”.