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C’è un prima e un dopo nella storia giudiziaria del clan degli “zingari” di Cosenza. Parliamo del gruppo più temuto e organizzato nello spaccio di droga che, insieme al sodalizio operante a Cassano Ionio e dintorni, primeggia nel capitolo dedicato al narcotraffico. Fino al 2015, il capo società della cosca era Franco Bruzzese, fratello di Giovanni Abruzzese, detto il “cinese”, ritenuto ancora oggi il fondatore del clan che agli inizi del 2000 si alleò con la famiglia Bruni “bella bella” di Cosenza e con i Serpa di Paola. La vicenda dell’omicidio di Luciano Martello, in tal senso, riassume l’alleanza tra i cosentini e i tirrenici.
Tornando a Bruzzese, oggi pentito, si possono dire tante cose. Intanto fu lui a decidere di ammazzare Luca Bruni, ottenendo il sì del gruppo guidato da Maurizio Rango. Il resto è storia: Daniele Lamanna e Adolfo Foggetti il 3 gennaio del 2012 uccisero Bruni nella periferia di Castrolibero. “Il Biondo” circa due anni dopo fece ritrovare il cadavere.
Chi è Franco Bruzzese
Bruzzese, una volta appresa la sentenza di condanna all’ergastolo di Maurizio Rango, cambia registro. Chiama la Dda di Catanzaro e inizia a riempire verbali su verbali. Ecco cosa scrivono di lui i pm antimafia. «È il primo pentito che fuoriesce dalla cosca degli zingari cosentini fin dai tempi di Franco Bevilacqua (“Franchino i Mafalda”, boss della compagine degli zingari cosentini e collaboratore di giustizia nei primi anni duemila). Quindici anni dopo (2016), Franco Bruzzese consente, con le sue confessioni, di attualizzare le conoscenze su uno degli ambienti criminali storicamente più impermeabili e poco avvezzo alle defezioni».
«Del gruppo Rango-zingari egli è stato un capo su sponda nomade – con il grado di “Vangelo” − ruolo a lui riconosciuto in virtù del carisma criminale ma anche dell’appartenenza familiare, in quanto fratello di Giovanni Abruzzese, storico capo degli zingari cosentini da lungo tempo detenuto. Specializzato nell’uso del kalashnikov, metteva questa sua “arte” a disposizione del gruppo partecipando in prima persona a svariate rapine ai furgoni portavalori in Calabria, Puglia e Basilicata, senza lasciarsi coinvolgere, però, in fatti di sangue ascrivibili alla consorteria, circostanza che gli attirerà addosso anche qualche critica dall’interno».
La confederazione mafiosa cosentina
Bruzzese nei primi mesi della sua collaborazione con la giustizia riferisce proprio sul patto con il boss degli italiani Francesco Patitucci. Il passaggio viene evidenziato nell’interrogatorio del 5 marzo del 2016. «Con riferimento alla domanda che l’ufficio mi pone circa l’esistenza di un gruppo federato tra gli zingari e gli italiani, posso riferire che se ne cominciò a parlare allorché ebbi a ricevere un permesso, fui scarcerato e cominciai a parlarne con Francesco Patitucci. Sia dopo questo permesso e sia in momenti successivi si recò presso la mia abitazione Patitucci, che era l’esponente apicale del gruppo degli italiani e in un’occasione anche Rinaldo Gentile, che venne però da solo perché inviatomi da Patitucci in quanto, volli informare gli italiani e quindi Patitucci e il suo gruppo, di quelle intercettazione del procedimento Telesis nel corso delle quali Luca Bruni, parlando con il fratello Michele in carcere, sembravano voler iniziare un percorso di collaborazione con la giustizia» dichiarava Bruzzese.
«Nel corso di questi incontri si cominciò a parlare di questo accordo tra zingari ed italiani, che fu poi suggellato nel Novembre del 2011 allorché mi recai a trovare Lanzino, all’epoca latitante, a Rende nel sottoscala di un palazzo, dove oltre a Lanzino, vi erano presenti per gli italiani Umberto Di Puppo, Francesco Patitucci e altri due di cui non ricordo il nome ma che sarei in grado di riconoscere. Come facenti parte degli zingari c’eravamo io e Maurizio Rango. In quella sede, ciò era stato già discusso con Patitucci, la federazione con il clan degli italiani, ossia il clan Lanzino, ebbe il suggello definitivo con la presente del latitante Ettore Lanzino» evidenziava il pentito di Cosenza.
Gli accordi con Ettore Lanzino
«All’incontro avrebbe dovuto partecipare anche Franco Presta di Tarsia, anch’egli latitante, ma non vi prese parte. In quella sede ci si accordò di creare una bacinella in comune nella quale sarebbero dovuti confluire tutti i proventi delle attività illecite dell’ormai gruppo confederato e vi sarebbe dovuta essere una ripartizione al 50 per cento, ossia 50 per cento agli zingari e il 50 per cento al gruppo Lanzino. Rappresento che però in un momento successivo si recò presso la mia abitazione Umberto Di Puppo, egli mi portava un messaggio di Ettore Lanzino, il quale mi mandava a dire se era possibile che il gruppo degli italiani potesse beneficiare del 60 per cento dei proventi della bacinella poiché si trattava di un gruppo numeroso del quale facevano parte anche gli appartenenti al clan Chirillo di Paterno Calabro e i Presta di Tarsia. Io acconsentii a tale richiesta…» concludeva Bruzzese.