Il 15 dicembre 2023 si è tenuta l’udienza davanti alla prima sezione penale della Cassazione su un nuovo filone investigativo che riguarda l’omicidio di Luca Bruni. L’ultimo boss della famiglia “Bella bella” è stato ucciso nel gennaio del 2012 a Orto Matera, frazione di Castrolibero, da Daniele Lamanna e Adolfo Foggetti. Due i mandanti acclarati: Franco Bruzzese e Maurizio Rango. La posizione di Ettore Sottile, invece, ancora non è del tutto definita.

L’imputato Ettore Sottile infatti è stato condannato in primo grado alla pena dell’ergastolo. Secondo la Dda di Catanzaro avrebbe avuto un ruolo chiave sia nella fase deliberatoria che in quella esecutiva, andando sul posto dopo l’agguato mortale insieme a Maurizio Rango, il quale è stato già condannato in via definitiva al “fine pena mai”. Bruzzese, pentito come Lamanna e Foggetti, ha ottenuto un corposo sconto di pena, visto che i giudici hanno riconosciuto l’attenuante della collaborazione con la giustizia.

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Chiusa la parentesi che riguarda gli italiani con la doppia assoluzione del boss Francesco Patitucci e di Roberto Porcaro, pentitosi di essersi pentito, il caso giudiziario ora si concentra su Ettore Sottile. Di recente, la Suprema Corte ha depositato le motivazioni con le quali gli ermellini della prima sezione penale hanno dichiarato inammissibile il ricorso presentato per conto di Ettore Sottile avverso l’ordinanza di conferma del Riesame di Catanzaro della misura cautelare della custodia in carcere.

I difensori Cesare Badolato e Pasquale Naccarato avevano sottoposto ai giudici della Cassazione due motivi. Nel primo, gli avvocati del foro di Cosenza lamentavano violazione di legge, sostanziale e processuale, e vizio di motivazione per avere il Riesame di Catanzaro «omesso di dichiarare l’inefficacia del titolo cautelare in ragione dell’integrale decorso del termine massimo di durata della custodia cautelare conseguente alla retrodatazione dell’ordinanza applicativa della misura, già disposta, in relazione a precedente provvedimento cautelare, ai sensi dell’art. 297, comma 3, cod. proc. pen».

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Nel secondo invece avevano contestato il fatto che il Tribunale del riesame avesse ritenuto concreto e attuale il pericolo di fuga «sulla base di considerazioni, riferite alla sua militanza nella criminalità organizzata cosentina, frutto della fallace valutazione delle evidenze disponibili, come, peraltro, documentalmente dimostrato dall’esame delle imputazioni associative elevate a suo carico nell’ambito, rispettivamente, dei procedimenti cosiddetti “Rango-Zingari” e “Reset“, allegate a supporto dei motivi nuovi».

Rispetto al primo motivo, la Cassazione scrive: «Ai fini della verifica del rispetto del limite massimo di durata della custodia cautelare in caso di retrodatazione ex art. 297, comma 3, cod. proc. pen., non assume rilevanza l’eventuale periodo intermedio di non detenzione dell’indagato, dovuto alla sua rimessione in libertà con riferimento alla prima ordinanza coercitiva, posto che l’interruzione della custodia determina il venir meno della finalità, sottesa all’istituto, di “riallineare” le vicende cautelari che avrebbero dovuto avere un avvio contestuale».

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Circa il pericolo di fuga, la prima sezione penale evidenzia che «L’obiezione non coglie nel segno, perché non tiene conto delle coordinate del ragionamento svolto dal Tribunale del Riesame, esente da qualsivoglia frattura razionale e coerente con le emergenze istruttorie, comprese quelle acquisite, da ultimo, su impulso difensivo. Sul punto, occorre ricordare, innanzitutto, che Ettore Sottile è stato riconosciuto, in forza di sentenza passata in giudicato» nella sentenza “Nuova Famiglia”, «quale promotore ed organizzatore (oltre che contabile ed addetto alla riscossione dei proventi delle estorsioni) dell’associazione mafiosa “Rango-Zingari” ed aggiungere che gli addebiti contestati nell’uno e nell’altro procedimento muovono dal postulato della sinergia operativa tra i gruppi che controllano il territorio della città di Cosenza e delle aree limitrofe e della elevatissima caratura ‘ndranghetistica di Sottile, indicato, nel procedimento “Reset“, quale soggetto riconosciuto, nonostante lo stato di detenzione, “come storico capo dell’associazione e simbolo del potere criminale da essa esercitato sul territorio, in nome del quale l’associazione continua ad operare”».