Nonostante sia un pusher, non risulta affiliato al traffico di droga organizzato dalla cosca degli italiani di Cosenza. È quanto emerge dall’ordinanza del tribunale del Riesame di Catanzaro, presieduto dal giudice Emma Sommi. Nel provvedimento, che riguarda la posizione di Vincenzo Caputo, viene delineato il profilo del collaboratore di giustizia Francesco Greco, descritto con toni tutt’altro che indulgenti.

Fatti e valutazioni

La Dda di Catanzaro sostiene che Vincenzo Caputo, oltre ad essere uno spacciatore al dettaglio, sia inserito nel sodalizio criminale diretto dal boss di Cosenza Francesco Patitucci, con il ruolo di partecipe nel gruppo che fa riferimento a Roberto Porcaro. Contestazione nata essenzialmente dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Francesco Greco e dalle conversazioni intercettate nel corso delle indagini preliminari.

Scrivono i giudici: «Le captazioni hanno permesso di appurare come il prevenuto», riferendosi al ricorrente Vincenzo Caputo, «acquistasse la sostanza stupefacente da Porcaro, avendo con il predetto un debito da estinguere e per il pagamento del quale si era rivolto allo zio Greco». Secondo il collegio «le risultanze investigative non consentono di ritenere adeguatamente dimostrato che la condotta» di Vincenzo Caputo «si inserisse in quella di un più ampio contesto associativo, ovvero che egli si sia avvalso delle risorse dell’organizzazione e, soprattutto, che fosse animato dalla coscienza e volontà di farne parte e di contribuire – con la sua attività illecita – al mantenimento della medesima».

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Entrando nel merito della vicenda, il Riesame di Catanzaro aggiunge che «le dichiarazioni etero-accusatorie rese dal collaboratore Francesco Greco, per come correttamente rilevato dalla Suprema Corte, si appalesano “non specifiche” e, dall’altra parte, che le stesse non risultano adeguatamente riscontrate dal compendio captativo in atti, che, come detto, dà conto esclusivamente della circostanza per cui il ricorrente svolgesse attività di spaccio e si rifornisse da Porcaro, che lo stimava e nei cui confronti aveva maturato un debito».

Il Riesame spiega che «le generiche dichiarazioni di Greco e le risultanze intercettive, pur dando conto della dedizione del ricorrente a sicura attività di smercio al minuto di sostanze stupefacenti e del menzionato rapporto di fornitura con Porcaro, non appaiono idonee a dimostrare che lo stesso facesse consapevolmente parte di una più ampia compagine sovraordinata, condividendone scopi e mezzi, sulla base di un accordo tendenzialmente stabile e duraturo nel tempo».

C’è chi spaccia anche al di fuori del “Sistema”

Nell’ordinanza si fa menzione anche al passaggio del gip di Catanzaro, secondo cui «rappresenterebbe “dato conclamato” quello secondo il quale chi esercita attività di spaccio a Cosenza lo fa – e può farlo – solo perché partecipe di un sistema associativo, che controlla in modo capillare l’attività di spaccio, vietando di operare al di fuori delle regole imposte sul territorio (il cosiddetto “sottobanco“), sicché non esisterebbe attività di narcotraffico nel territorio cosentino collocabile al di fuori di questo sistema».

Pr il Riesame, facendo leva su quanto evidenziato dalla Cassazione, «trattasi di una conclusione del tutto congetturale, non potendosi ritenere dimostrato “che qualunque episodio di spaccio che si verifichi nel territorio della provincia di Cosenza debba per forza di cose essere riferito sempre all’organizzazione criminale che controlla il mercato illecito degli stupefacenti, con l’ulteriore corollario che tutti coloro che risultino comunque coinvolti in una qualche attività di spaccio di sostanze stupefacenti in quell’ambito territoriale siano, solo per questa ragione, soggetti che necessariamente fanno parte dell’associazione”».

L’ordinanza di Vincenzo Caputo, difeso dagli avvocati Antonio Quintieri, Natale Occhiuto e Simone A. Fabbricatore, è stata annullata limitatamente al capo 1, mentre lo stesso va ai domiciliari per i reati fine. Stesso esito per il fratello Antonio Francesco Caputo.