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Riceviamo e pubblichiamo la lettera inviata alla redazione di Cosenza Channel da Ada Ledonne, compagna di Mario Pranno, finito nuovamente in carcere a seguito di un provvedimento emesso dal tribunale di Sorveglianza di Catanzaro.
Mario Pranno ha commesso dei gravi reati in passato, nessuno è qui a dire il contrario! È stato giudicato per questo da tante persone, che siano essi giudici o semplici cittadini. Per gli errori che ha commesso, è noto a tutti che è stato condannato ed ha scontato senza la minima esitazione, la pena che gli è stata attribuita secondo le leggi e la giurisdizione vigente. Ha scontato senza batter ciglio, la bellezza di 30 anni di prigione, nel silenzio e nel dolore più assoluto, con la consapevolezza che una volta uscito, quegli anni “persi” gli sarebbero serviti di insegnamento per ricominciare a vivere.
Con gli ultimi eventi e con l’ultima risposta penale nei confronti di Mario Pranno, si è assistito ad un progressivo snaturamento della stessa essenza della pena, che, dopo una lunghissima ed interminabile privazione della libertà personale, oggi poteva di fatto essere sostituita da forme di esecuzione extracarceraria, da una forma di esecuzione non detentiva… semplicemente, da una misura alternativa rispetto al carcere.
Mario, ad oggi, ha una vita sbagliata da lasciare alle spalle e, insieme alla compagna, una bimba di 6 anni, simbolo di una rinascita vitale. Rinascita che ancora oggi, non riesce del tutto ad ottenere perché il passato che cerca da dimenticare – e che ricordiamo, ne ha già largamente pagato gli errori – gli viene costantemente rimesso sul piatto, non permettendogli di vivere la sua nuova vita.
L’attenzione si concentra inevitabilmente sulla figlia che sia Mario che la compagna, stanno cercando di farla crescere nella normalità e soprattutto, senza farle portare il peso di quel cognome sulle spalle. Ma ad oggi tutti gli sforzi sono crollati. Che non sia presa come un’esagerazione: la figlia sta vivendo un incubo che, si spera non abbia conseguenze future. A questo punto ci chiediamo: come e quando si manifesta il vero senso del reinserimento e della rieducazione sociale?