Il Tribunale distrettuale di Catanzaro esclude il coinvolgimento diretto nel presunto accordo elettorale con l'allora sindaco Marcello Manna, assolto nel rito ordinario
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È stato assolto con formula piena Adolfo D’Ambrosio, accusato di aver stretto un patto politico-mafioso in occasione delle elezioni amministrative di Rende del 26 e 27 maggio 2019, che avevano sancito la rielezione di Marcello Manna a sindaco. La sentenza del processo abbreviato Reset, pur riconoscendo la posizione apicale dell’imputato nel sodalizio mafioso cosentino, ha escluso la sua partecipazione diretta all’accordo elettorale, poiché «il fatto non sussiste».
Secondo la ricostruzione della Dda di Catanzaro, D’Ambrosio avrebbe offerto procacciamento di voti con modalità mafiose in favore di Manna, in cambio della promessa di assegnazione della gestione del Palazzetto dello Sport e dei relativi lavori e spazi commerciali ad aziende o soggetti riconducibili alla sua sfera di controllo. Un’ipotesi che, però, si infrange su un dato oggettivo: «D’Ambrosio era in carcere all’epoca dell’accordo», ed è stato scarcerato solo il 13 luglio 2019, cioè oltre un mese dopo il ballottaggio.
Il patto e l’appalto: indizi non sufficienti
La fattispecie di cui all’articolo 416-ter del codice penale, chiarisce il giudice, si consuma con la reciproca promessa tra politico e mafioso, anche in assenza di pagamento o realizzazione del vantaggio. Tuttavia, nel caso di Adolfo D’Ambrosio, l’insuperabile conflitto temporale tra le elezioni e la sua scarcerazione impedisce di ritenerlo partecipe.
Nelle settimane successive al suo ritorno in libertà, però, numerose conversazioni intercettate confermerebbero il suo pieno rientro nella gestione delle dinamiche associative, e il suo interesse diretto per l’affidamento del Palazzetto. Il 17 luglio 2019, Massimo D’Ambrosio, fratello di Adolfo, spinge per un incontro immediato con il sindaco Manna: «Dobbiamo portare… vuole parlare con Manna per il fatto del palazzetto… ripigliamo adesso i discorsi, prima che dopo è troppo tardi… la persona pulita c’è».
Il “piano” di D’Ambrosio
In una conversazione del 24 luglio 2019, Adolfo D’Ambrosio si esprimerebbe come se la gestione della struttura sportiva fosse già cosa fatta: «La casettina me la prendo come associazione, così non la vendono a nessuno… quelli del mercato devono venire di nuovo dentro… voglio il bar, le sigarette, i giornali, i numeri… chiudiamo questa pratica». E ancora: «Fammi venire Massimo, Marcello domani sera, dopo il Consiglio mi chiama a Marcello, ci chiudiamo e finiamo questa cosa una volta per tutte».
Tali dichiarazioni — osserva la sentenza — confermerebbero la piena operatività del boss nella vita criminale post-scarcerazione, ma non consentono di attribuirgli responsabilità penale per il patto politico-mafioso intervenuto prima della sua uscita dal carcere.
Il ruolo nella cosca resta confermato
Nonostante l’assoluzione, il gup Giacchetti non ha dubbi sulla caratura criminale di Adolfo D’Ambrosio. Le intercettazioni successive al 13 luglio 2019 lo designerebbero come leader decisionista della consorteria, pronto a gestire affari, appalti, attività commerciali e “imbasciate” politiche, sempre con un linguaggio improntato al controllo territoriale.
Reset, rito ordinario
Alla luce della sentenza Reset, rito ordinario, è pacifico che per i giudici di merito l’indagine sul voto di scambio politico-mafioso non sussiste. Da qui nascono le assoluzioni pervenute a Castrovillari, a cominciare dall’avvocato Manna.