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Voce affaticata dai problemi di salute, ma al tempo stesso lucido nel ricordare, soprattutto dopo una pausa, le dinamiche mafiose a Cosenza. Parliamo del collaboratore di giustizia, Daniele Lamanna, esecutore materiale dell’omicidio di Luca Bruni, avvenuto il 3 gennaio 2012 nel comune di Castrolibero. Il pentito uccise un uomo che con lui aveva condiviso un percorso criminale, avendo fatto parte entrambi del clan “Bruni-zingari“.
L’ultimo boss dei “Bella bella” non accettava le nuove regole decise dagli “zingari” e dagli italiani. Voleva quindi che le cosche fossero autonome, senza alcun accordo, ufficializzato nel 2010 ma programmato già in una riunione avvenuta in via degli Stadi a Cosenza. A sugellare l’intesa mafiosa erano stati i latitanti Ettore Lanzino e Franco Presta, in presenza di Michele Bruni, dei suoi sodali, e degli altri appartenenti al clan degli italiani. Insomma, tutti uniti nel creare una confederazione con la divisione delle attività illecite, i cui proventi dovevano essere versati nella cosiddetta “bacinella comune“. Ma qualcosa tra il 2013 e il 2014 non andò per il verso giusto. E Lamanna, oggi collegato in videoconferenza da un sito riservato, ha spiegato tutto.
L’inizio: la droga
Nel corso dell’esame condotto dal pm antimafia Corrado Cubellotti, il pentito Daniele Lamanna, assistito dall’avvocato Michele Gigliotti, ha parlato del suo rapporto con Mario “Renato” Piromallo. «Nel periodo a cui faccio riferimento era lui che gestiva la droga per conto degli italiani, rifornendo tutta la confederazione. Parlo del 2010, fino al momento dell’operazione Telesis», che in realtà scattò nel dicembre 2009, in un giorno in cui nevicava abbondantemente. «Poi cambiò qualcosa», parlando dell’omicidio di Luca Bruni. «Subentrò Maurizio Rango come partecipe a tutti gli effetti della confederazione».
I “reggenti” di zona
Lamanna, in seguito, ha ricostruito la geografia mafiosa in provincia di Cosenza. «Nella zona di Amantea c’erano i Besaldo, a San Lucido e Fuscaldo i Tundis, nella zona di Tarsia i Presta e a Cosenza il territorio era diviso tra italiani e zingari. Negli italiani uno dei capi era Patitucci, visto la stato di latitanza di Lanzino e Presta, ma nel clan era attivo pure Porcaro, la parte “zingari” si componeva di Maurizio Rango, Ettore Sottile, Adolfo Foggetti e Gennaro Presta». Questa alleanza aveva escluso «i Bella bella, che poi fu la principale motivazione che portò ad eseguire il delitto di Luca Bruni».
Il racconto di Lamanna è proseguito sui “reggenti” di zona: «A Paola decidemmo di mettere Foggetti, a San Lucido c’erano i Calabria, ad Amantea i Suriano e posso dire che c’erano ottimi rapporti anche con i Muto di Cetraro, erano riconosciuti i Banana, Luigi e Marco, e avevano rapporti stretti con Filippo Solimando, con Nicola Acri a Rossano e con gli Abbruzzese a Cassano».
Gli interessi in Sila
Tornando a Piromallo, il collaboratore di giustizia ha detto che «con lui avevo un ottimo rapporto, siamo nati nello stesso quartiere. Era una persona scaltra e molto riflessiva sotto il profilo criminale. Eravamo d’accordo su tante cose, compresa una gestione più ragionata, molto meno istintiva. Con lui preferivo confrontarmi sulle attività illecite, tipo il discorso relativo alla Sila, volevamo avere il controllo del territorio perché c’era un giro d’affari importante per la legna. Ne parlammo anche con Mario Gatto e Mico Megna. All’epoca nel settore boschivo c’erano i gruppi del Cirotano e del Crotonese». Lamanna ha aggiunto: «Si parlava del rifacimento della funivia di Lorica, ne discutevamo con Piromallo, il quale aveva contatti con la famiglia Spadafora di San Giovanni in Fiore».
I lavori a Piazza Bilotti
Durante la testimonianza, il killer di Luca Bruni ha spiegato che i primi problemi tra italiani e “zingari” sono sorti su alcune estorsioni: «Ci siamo resi conto che i soldi non venivano suddivisi e messi nella “bacinella”, per cui volevo vederci chiaro, visto che si lamentavano un po’ tutti, vale a dire Sottile, Presta e Foggetti. Verificai effettivamente che gli italiani facevano così». I riferimenti, a tal proposito, sono stati: l’estorsione di Patitucci a un noto bar di Cosenza, il tentativo di estorsione degli italiani per la realizzazione di Piazza Bilotti (dove Piromallo è stato condannato anche in appello) e tanti altri episodi.
«In merito a Piazza Bilotti, cercai di gestire la situazione con Rinaldo Gentile, senza fare rumore e senza fare cose eclatanti. Si parlava di un interessamento della cosca Muto e andammo a parlare con Tonino Mandaliti». Questo evento, non determinante per la sua decisione, fu seguito dai primi disguidi con Maurizio Rango. «Non tolleravo i suoi comportamenti, ma neanche quelli di Sottile e Presta e quindi ho cercato di limitare i danni» ha detto Lamanna che in conclusione dell’esame ha riferito pure su Porcaro: «Tra il 2010 e il 2012 era diventato “l’alter ego” di Patitucci».
Il controesame
L’avvocato Luca Acciardi, difensore tra gli altri di Mario “Renato” Piromallo, ha condotto la prima parte del controesame di Daniele Lamanna. «I contrasti tra Rango, Gatto e Gentile? Era una cosa normale», ha dichiarato Lamanna. «Non ho mai saputo che Rango volesse uccidere Gatto, non avrei mai tenuto in considerazione questa eventualità, davanti a me non ha mai espresso tale volontà né era in grado a livello di forza militare di fare questa cosa», ha chiarito il pentito.
Uno degli episodi della discordia era Piazza Bilotti: «Su questa vicenda non percepimmo nessun utile, mi riferisco al clan “Rango-zingari”, mentre sempre parlando di estorsione, ma che in realtà non fu proprio così, i miei sodali erano interessati a chi gestiva il parcheggio della discoteca “Loft“, dove lavoravano i parenti di Piromallo. Fu una mortificazione questo tentativo di far prevalere il loro intento sapendo chi ci fosse dietro». E Lamanna ha menzionato la somma di 300 euro.
In carcere spunti illuminanti
Nel 2014, «le strade si sono separate dopo che rappresentai questi episodi a Mario Gatto», che Rango pare avesse messo nel mirino. «Io cercai quindi di scongiurare la guerra, ragionando sul fatto di mettere da parte Rango senza arrivare all’omicidio di quest’ultimo». Ma un anno dopo, al termine della sua latitanza in Presila, Lamanna aveva capito di dover fare un passo indietro: «Quei tre mesi vissuti tra Cosenza e Catanzaro sono stati illuminanti. A Cosenza incontrai Sasà Ariello e mi disse che sapevano benissimo che Patitucci prendeva nove e metteva uno nella “bacinella“, mentre discutendo con “Ciciariuddru” e Rocco Abbruzzese “Pancione”, tutti pensavano che il modo di agire di Rango fosse sbagliato, perché non sapeva usare altri modi se non quelli di picchiare le persone». Così, si pentì.
Lamanna, tuttavia, ha parlato ancora di Rango: «Non poteva dire determinate cose contro gli italiani. Rango non aveva avuto nessun ruolo nella guerra tra il 1999 e il 2004 durante la seconda guerra di mafia, dopo l’ultimo omicidio Marincolo e quindi non poteva andare oltre. Lì decisi di allontanarmi. Avevo due telefoni, con uno contattai Mario Gatto per prendere un appuntamento, dopodiché, il giorno dopo stabilimmo un incontro in uno sfasciacarrozze, non quello di Lanzino, ma un altro, nella zona industriale di Rende. In questo incontro dissi che non potevo più gestire quel tipo di situazioni, non si dividevano le strade dei clan ma io mi feci da parte. A quel punto, Rinaldo Gentile mi abbracciò e mi disse che feci la cosa più giusta».
Confederazione e “bacinella” dal 2014 in poi
Il presidente del collegio giudicante, Carmen Ciarcia è intervenuta, chiedendo quale fosse la finalità di questa riunione: «Fondamentalmente ero il responsabile, visto che avevo fatto fare pace tra i due gruppi, quindi mi tirai fuori dalla situazione, senza mettere in discussione la confederazione ed infatti si poteva convivere facendo le cose, tipo estorsione e droga, senza alcun obbligo di dividere i proventi illeciti». Ed è qui che l’avvocato Luca Acciardi, prima di concludere, ha inteso approfondire il tema, tra i più importanti degli ultimi 20 anni. «Nel 2014 la “bacinella” non c’era più, era diventata un fatto simbolico». Come a dire che formalmente i gruppi erano confederati, ma sostanzialmente ognuno faceva i fatti propri. Modus operandi che riguardava anche il traffico di droga con il cosiddetto “sottobanco“. In definitiva, «all’incontro del 2010 tra italiani e zingari c’era anche Michele Bruni», epoca precedente all’operazione “Missing“. «Io e Michele avevano paura di essere ammazzati dal 2006 in poi, ma nel 2010 ci fu l’intesa». Infine, ha concluso l’avvocato Matteo Cristiani per la posizione di Denny Romano.