C’è un momento storico importante nei rapporti tra ‘ndrangheta di Cosenza e ‘ndrangheta della Sibaritide. Se ne fa accenno in un documento della Direzione Nazionale Antimafia, nel quale, in buona sostanza, si anticipava il fatto che nella Piana di Sibari gli equilibri stavano cambiando. Qualche mese dopo la pubblicazione di questa relazione, avviene l’omicidio di Leonardo Portoraro. I contorni di questo delitto sono ancora poco chiari e la Dda di Catanzaro è al lavoro per capire cosa sia realmente successo a Villapiana in quel giorno d’inizio d’estate del 2018.

Nel corso degli anni, i clan di Cosenza e quelli di Cassano Ionio (senza dimenticare le cosche di Corigliano e Rossano) hanno sempre avuto un filo conduttore. Che a volte si tramutava in rispetto e altre volte in affari illeciti. In altri, invece, “sante alleanze” per combattere una guerra di mafia cruenta. Ci sono processi, vedi Terminator, che attestano e certificano queste dinamiche mafiose. Ma negli ultimi sei anni sono mutati questi rapporti? No, anzi. Sono stati mantenuti inalterati e in alcuni casi si registrano intese criminali sul fronte della droga e delle estorsioni. Ipotesi investigative che troviamo, ad esempio, nell’inchiesta Athena, dove oltre al capitolo del narcotraffico esiste anche la parte dedicate alle attività estorsive, in particolare contro un’azienda di Montalto Uffugo che, secondo la procura antimafia del capoluogo di regione, sarebbe stata perpetrata in concorso tra italiani – Michele Di Puppo – e “zingari” – da Nicola Abbruzzese “Semiasse” ai collaboratori di giustizia Ivan Barone e Gianluca Maestri.

Ma c’è di più. Nell’inchiesta Reset, vista la mole di intercettazioni condotte dagli investigatori a casa di Francesco Patitucci, balzano agli occhi di chi indaga la capacità di relazionarsi degli attuali clan cosentini – area urbana s’intende – con quelli della costa ionica cosentina e dintorni (vedi Cassano). Un territorio, quest’ultimo, che ha subito profonde ristrutturazioni criminali con la “pax mafiosa” tra Abbruzzese e Forastefano, un tempo acerrimi nemici oggi alleati nelle condotte illecite da portare a termine in lungo e in largo la Piana di Sibari. E tra queste, purtroppo, non mancano gli omicidi.

Nel caso in esame parliamo di una fase delicata che precede l’esecuzione di Francesco Elia, giustiziato nelle campagne di Cassano Ionio. Dalle captazioni si rileva, secondo la Dda, che i clan cassanesi sarebbero andati da Patitucci a chiedere il “permesso” di uccidere il ragazzo a Rende. “Permesso” non concesso per evitare di accendere ulteriormente i riflettori delle forze dell’ordine sulle cosche locali. Parliamo del periodo Covid, dove gli affari “sporchi” andavano male, per non dire malissimo. Le strade erano quasi deserte, la droga non circolava come prima e le attività commerciali erano chiuse o sul punto di chiudere definitivamente vista la pandemia. Insomma, una situazione non ideale per uccidere qualcuno.

Ricordiamo, infatti, che nell’area urbana di Cosenza non avvengono omicidi di mafia ormai da tempo. L’ultimo risale al 2011, mese di settembre, quando due persone ammazzarono in un agguato Giuseppe Ruffolo. Sempre in un contesto di criminalità organizzata avvenne il delitto di Antonio Taranto. Se nel caso di Ruffolo abbiamo un condannato in via definitiva – Massimiliano D’Elia – nell’altro la giustizia non ha trovato ancora il presunto colpevole.