Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
Sono accusati di aver imbottito il carcere di Catanzaro di droga e telefonini, trasformando l’istituto di pena in una piazza di spaccio da cui comunicare agevolmente con l’esterno. Tutto questo, il gruppo di cosentini coinvolto nell’inchiesta “Open gates” lo avrebbe fatto in assoluta autonomia, senza l’appoggio della criminalità organizzata. Non a caso, alle contestazioni associative – sia a delinquere che finalizzata al narcotraffico – non fa seguito quella di stampo mafioso, né si ipotizzano a loro carico reati finalizzati ad agevolare una o più cosche di ‘ndrangheta. Quest’ultima, però, è un’ombra che incombe ugualmente sulla vicenda.
Il sospetto, infatti, è che la presunta organizzazione con al vertice, tra gli altri, Riccardo Gaglianese e Bruno Bartolomeo, fosse in qualche modo vicina a Roberto Porcaro. Lo suggeriscono i ripetuti contatti che intercorrevano tra le mogli degli indagati e il boss o i suoi familiari diretti. Agli atti, v’è traccia di lettere che Porcaro stesso scrive loro dal carcere di Voghera e poi di qualche visita di cortesia a sua moglie Silvia Guido nel periodo immediatamente successivo al suo arresto. Nulla, però, in grado di collegare direttamente lui o lei a quel traffico illecito descritto in “Open gates”. L’altro spunto è offerto dalle biografie di alcuni dei protagonisti. Quella già nota di Gaglianese, che in passato è stato più volte associato a gruppi di criminalità organizzata e poi quelle più “fresche” di Bartolomeo e Gino Garofalo.
Del primo parla anche un collaboratore di giustizia, Giuseppe Zaffonte, con dichiarazioni oggi allegate agli atti dell’inchiesta. «Bartolomeo è incaricato di spacciare stupefacenti per conto di Porcaro – riferisce Zaffonte – e ha anche un consistente debito in denaro con lui. Si è approvvigionato a lungo di droga pure da Marco D’Alessandro, del gruppo Di Puppo». A suo dire, sarebbe stato pure battezzato con il rito di ‘ndrangheta e, di quell’evento, Zaffonte afferma di essere stato testimone. Dopo aver ricevuto lui stesso la seconda dote, infatti, avrebbe preso parte, il giorno successivo, al conferimento della “prima” a Bartolomeo.
Più enigmatica, invece, la figura di Garofalo, già noto alle cronache per il suo coinvolgimento in “Reset”, un’inchiesta in cui gli inquirenti confezionano per lui un’accusa pesante: quella di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico. In quel contesto, Garofalo è dipinto come uno uomo al servizio dei fratelli Abbruzzese “Banana”, ma con compiti da spacciatore al dettaglio. Sono queste, peraltro, le accuse da cui è chiamato ora a difendersi in aula nell’ambito del maxiprocesso in corso di svolgimento a Lamezia, ma il profilo che si tratteggia di lui in “Open gates” è di livello decisamente superiore. Forse non così elevato come ritiene invece il diretto interessato, tant’è che a Bruno Bartolomeo che un giorno gli dice «Io e te diventiamo i numeri uno», proprio lui, Gino, replica con un significativo «Compà, il numero uno io ci sono già».