Assoluzione dell’imputato per difetto di imputabilità. È stata questa la formula utilizzata dal tribunale collegiale di Cosenza nei confronti di Cristian D’Ambrosio che di recente è uscito definitivamente di scena dal processo ordinario di “Reset“, a seguito di una perizia psichiatrica disposta dal presidente Carmen Ciarcia e invocata dall’avvocato Amelia Ferrari, per conto del suo assistito.

La perizia psichiatrica su Cristian D’Ambrosio

Il giovane imputato, figlio di Massimo D’Ambrosio e Lauretta Mellone, di cui ci siamo interessati in passato per le sue gravi condizioni di salute, era accusato di esercizio abusivo dell’attività finanziaria nei confronti del pubblico, reato aggravato dall’agevolazione mafiosa riconducibile a uno dei presunti sottogruppi della ‘ndrangheta cosentina, la quale, secondo la Dda di Catanzaro, sarebbe capeggiata dal boss Francesco Patitucci. A firmare la perizia conclusiva è stata la dottoressa Patrizia Nicotera, la quale ha convenuto che Cristian D’Ambrosio non poteva stare in giudizio a causa di una totale incapacità di intendere e di volere al momento del fatto contestato dalla pubblica accusa che, in sede di intervento, aveva chiesto il proscioglimento del giovane rendese.

Non è socialmente pericoloso

Nel provvedimento emesso dai giudici Ciarcia, Branda e Granata, si fa riferimento al fatto che Cristian D’Ambrosio, al momento della commissione del fatto, «si trovava in una condizione di vizio totale di mente e che tale stato di infermità era tale da escludere ed abolire totalmente la capacità di intendere e di volere dell’imputato. Il perito – scrivono i togati cosentini – ha inoltre accertato che D’Ambrosio non è capace di partecipare coscientemente al processo e che detta incapacità, anche in ragione delle proprie condizioni psicofisiche, è irreversibile. Su domanda del Collegio» la dottoressa Patrizia Nicotera «ha preciso che il soggetto non è socialmente pericoloso».

Giustizia in ritardo

Infine, «non dovendosi applicare una sentenza di proscioglimento nel merito (avuto riguardo agli esiti dell’istruttoria dibattimentale sin qui espletate da cui non emergono elementi su cui fondare un’assoluzione nel merito), né una misura di sicurezza personale nei confronti dell’imputato, può pervenirsi alla declaratoria di assoluzione per la ragione liquida del difetto di capacità di intendere di volere» ed è per questo che il tribunale di Cosenza ha pronunciato una sentenza «più favorevole rispetto alla definizione del processo per incapacità irreversibile dell’imputato, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 72 bis c. p. p.». Giustizia, in tal senso, è stata fatta. Ma probabilmente il percorso processuale di Cristian D’Ambrosio si sarebbe dovuto fermare già all’udienza preliminare.