Niente proiettili fissati con lo scotch sulla saracinesca di turno e nemmeno accendini e molotov posizionati all’ingresso di negozi e aziende. Nessun veicolo incendiato né tantomeno telefonate minatorie per invitare il malcapitato di turno «a mettersi a posto». Per i commercianti e gli imprenditori di Cosenza e dell’area urbana, quello appena trascorso dovrebbe essere stato un Natale tranquillo. Non risultano, infatti, intimidazioni a scopo estorsivo in quello che tradizionalmente è uno degli appuntamenti fissi del racket, uno dei trimestri – gli altri coincidono con Pasqua e Ferragosto – in cui la malavita bussa a denari.

L’indiscrezione che arriva da ambienti investigativi fotografa una novità: al momento pare che nessuno, fra le categorie più a rischio, abbia denunciato di aver subito pressioni o inviti al pagamento del pizzo. Delle due l’una: o le vittime hanno deciso di piegarsi collettivamente e in silenzio oppure l’attività criminale ha subito un forte rallentamento, se non addirittura un brusco stop. Mai come in questo caso il condizionale è d’obbligo, ma a far propendere per l’ultima ipotesi c’è anzitutto un dato di contesto.

È molto probabile che a quindici mesi dall’ondata di arresti dell’operazione “Reset”, i clan locali comincino a pagare il prezzo della crisi generata dalla decimazione dei rispettivi organici. Problema risolto? Non ancora. È pressoché scontato che chi pagava senza batter ciglio abbia continuato a farlo, ma per il resto è indubbio che le entrate, a quelle latitudini, abbiano subito una flessione più che consistente. Una buona notizia, ovviamente, ma non è tutto oro quel che luccica.

Negli ultimi tempi, infatti, si è registrato un aumento esponenziale dei furti d’auto, specie in determinate aree al confine tra la città capoluogo e Rende. Potrebbe essere opera di cani sciolti, oppure la penuria di racketeer in circolazione potrebbe aver suggerito alle cosche di puntare su un settore in precedenza secondario – quello dei cavalli di ritorno – con l’obiettivo di far cassa.

A ciò si aggiunge anche un mercato degli stupefacenti che, stando ai dati in possesso degli investigatori, non pare affatto interessato dalla crisi. «Cosenza è una città che galleggia sulla droga» diceva in tempi non sospetti il procuratore Mario Spagnuolo. In tal senso, riportarla sulla terra ferma non è impresa da mettere in conto, almeno per il momento. Resta da comprendere se, allo stato attuale, ci sia ancora una rete che sovrintende al narcotraffico o se si tratti di un business ormai liberalizzato. Comunque sia: no, il problema non è affatto risolto. Tutt’altro.

Nonostante ciò, il calo delle attività estorsive fotografa un’attualità: quella di una città al momento “aperta” e senza un Ordine criminale che sovrintende alle operazioni illecite. Due rapine messe a segno da banditi solitari – una a un centro scommesse un paio di settimane fa e un’altra più recente ai danni di una farmacia – valgono da timido segnale di questo “vuoto”.

L’altro, forse più indicativo, è rappresentato dalla banda della “Mercedes bianca”, topi d’appartamento professionisti che negli ultimi mesi hanno letteralmente folleggiato nell’hinterland cosentino salvo poi inabissarsi, probabilmente per andare a far danni in qualche altra provincia, forse in qualche altra regione. Difficile immaginare che prima di “Reset” avrebbero potuto agire indisturbati in territorio cosentino senza soccombere in uno scontro fra demoni. A loro magari resta solo un sospetto, per il resto del mondo è una certezza.