In principio erano Gianfranco Ruà ed Ettore Lanzino. Se il primo è fuori dai “giochi criminali” da ormai 30 anni, il secondo è morto di recente. Così, le attenzioni degli inquirenti antimafia della Dda di Catanzaro si concentrano da oggi in poi su Francesco Patitucci. A modo suo, ha ammesso di guidare un gruppo ma di “amici” che gli investigatori decriptano con la parola ‘ndrangheta, facendo riferimento al ruolo di boss. Non fosse altro che i pubblici ministeri Corrado Cubellotti e Vito Valerio ritengono che Francesco Patitucci sia il capo della confederazione mafiosa di Cosenza. Una sorta di ‘ndrangheta unitaria cosentina che ingloba sette “sottogruppi”, alcuni di essi divisi in altri “sottogruppi”. Se in Reset sarebbe emersa la mafiosità del clan degli italiani, in Recovery verrebbe fuori la dinamicità della cosca nel settore del narcotraffico.

«Il principale dirigente e promotore dell’associazione»

L’ultima inchiesta sulla mafia cosentina ridisegna, se così possiamo dire, l’organizzazione del clan degli italiani di Cosenza. A farla, leggendo gli atti, è il gip di Catanzaro Arianna Roccia. I pentiti nel corso degli anni hanno parlato frequentemente di Francesco Patitucci, ritenendolo «il principale dirigente e promotore dell’associazione». Per gli inquirenti, ma anche per chi ha firmato l’ordinanza cautelare, il boss di Cosenza durante il suo stato di libertà avrebbe curato i rapporti con le altre consorterie mafiose finalizzati «a mantenere equilibri di collaborazione e reciproco sostegno anche per assicurare stabilità delle forniture e degli approvvigionamenti». Una prova sono, secondo il giudice cautelare, i presunti summit di ‘ndrangheta “con l’altro esponente di spicco, Michele Di Puppo» e anche con «i fratelli Calabria, Pietro e Giuseppe, di San Lucido» e con «Antonio Illuminato», la cui ascesa criminale è stata descritta già in Reset e confermata in Recovery.

«Se non riusciamo a fare nemmeno questa siamo fottuti»

I temi investigativi che tracciano il profilo criminale di Francesco Patitucci sono già venuti fuori in Reset e quelli che descrive il gip Arianna Roccia in Recovery sono le stesse argomentazioni ma con un obiettivo differente. Dimostrare che il boss abbia messo in piedi, grazie ai suoi “sodali“, una vasta associazione a delinquere dedita al narcotraffico. Il periodo intercettivo di riferimento è quello di aprile 2020, fase in cui il Covid aveva disintegrato i nostri stili di vita, e anche quelli dei mafiosi. Il 2 aprile infatti Patitucci parlando con Di Puppo, «dopo avere fatto cenno alle difficoltà a riscuotere le “estorsioni”, avrebbero fatto riferimento anche alla problematica raccolta della droga. “Se non riusciamo a fare nemmeno questa siamo fottuti”», riferendosi, secondo gli investigatori, alla presunta attività di spaccio.

I “sodali” di Francesco Patitucci

Nelle conversazioni captate si farebbe accenno anche a Mario “Renato” Piromallo, Marco D’Alessandro che «nonostante il lockdown imposto per la pandemia, “lui riesce a camminare”, volendo con ciò intendere che è uno dei pochi in grado di continuare a perpetrare attività illecite e quindi a “spacciare”», e poi ancora, Antonio Illuminato «un ragazzo serio», e Salvatore Ariello, indicato da Lamanna quale uno dei «delegati della confederazione». A ciò si aggiunge Roberto Porcaro, già “reggente” del clan degli italiani dal 2016 al 2019.