Mancava una cifra associata ai loro nomi, ma ora c’è anche quella. La Corte d’appello, infatti, ha rideterminato le pene inflitte ad alcuni imputati del processo “Frontiera” che avevano scelto di essere giudicati con il rito abbreviato. Una pratica rimasta in sospeso per due anni e mezzo. Era il dicembre del 2021, infatti, quando quella sentenza contro il clan Muto di Cetraro diventò definitiva, con una piccola ma significativa obiezione sollevata dai giudici romani: l’associazione era sì mafiosa, ma non armata, il che comportava per alcuni un riconteggio degli anni di carcere da scontare.

Un computo al ribasso che la Corte ha effettuato oggi, quantificando così le pene assegnate ad alcuni familiari del del boss Franco Muto: i figli Luigi (14 anni e 8 mesi) e Mara (6 anni e 10 mesi), sua moglie Angelina Corsanto (8 anni 10 mesi e 20 giorni) e il genero Andrea Orsino (6 anni e 10 mesi). Con loro c’erano altri imputati con la posizione in sospeso, ma anche per loro è arrivato il momento della verità. Si tratta di Franco Cipolla (14 anni 5 mesi e 10 giorni), Alessandro Di Pasquale (10 anni e 8 mesi), Guido Maccari (16 anni 3 mesi e 10 giorni), Antonio Di Pietramonica (6 anni e 10 mesi), Alfredo Palermo (9 anni 11 mesi e 10 giorni) e Fedele Cipolla (3 anni e 20 giorni).

Erano in tutto dodici ad aver proposto il ricorso accolto all’epoca dagli Ermellini, ma il tempo concesso a due di loro non è stato sufficiente per vederne concretamente gli effetti. Carmine Occhiuzzi e Giuseppe Fiore, infatti, sono deceduti e per questo motivo nei loro confronti è stata pronunciata una sentenza di «non luogo a procedere». Le motivazioni della sentenza saranno rese note tra novanta giorni. Il collegio difensivo degli imputati era composto, tra gli altri, dagli avvocati Rossana Cribari, Giuseppe Bruno, Fiorella Bozzarello, Riccardo Panno e Salvatore Staiano.