La Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di Simone Ferrise, imputato in Recovery, che era stato accusato di far parte di un sodalizio dedito al narcotraffico e collegato a una presunta confederazione ‘ndranghetista operante nel territorio cosentino. La sentenza ha accolto in parte i motivi del ricorso presentato dall’avvocato Laura Gaetano, evidenziando una motivazione carente su alcuni punti cruciali da parte del Tribunale del Riesame di Catanzaro.

I fatti contestati e le motivazioni della difesa

La vicenda ha origine con l’arresto di Simone Ferrise nell’ambito dell’operazione “Reset”, un’inchiesta che ha disvelato la rete criminale attiva nel controllo del traffico di stupefacenti nella provincia di Cosenza. Ferrise era stato accusato di essere il pusher di riferimento del gruppo “D’Ambrosio”, ritenuto parte di una confederazione criminale più ampia.

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione denunciando, tra i vari aspetti, «la mancanza di autonoma valutazione» da parte del Giudice delle indagini preliminari. Secondo l’avvocato, il Tribunale aveva respinto le eccezioni difensive in modo illogico e contraddittorio, basandosi su motivazioni generiche e senza una verifica critica delle fonti indiziarie. «Non si precisa quali siano le conversazioni rilevanti poste a fondamento della conclusione che il ricorrente fosse parte del sodalizio», aveva evidenziato la difesa.

Le criticità rilevate dalla Cassazione

La Corte di Cassazione ha ritenuto infondati alcuni dei motivi di ricorso, ma ha accolto il secondo motivo, relativo alla retrodatazione dei termini di custodia cautelare. La difesa aveva sottolineato che i fatti contestati a Ferrise nella seconda ordinanza di custodia cautelare rientravano in quelli già oggetto della prima misura cautelare, emessa nel procedimento “Reset”. Un tema decisivo anche nei ricorsi accolti di Mario “Renato” Piromallo, Adolfo D’Ambrosio e Francesco Patitucci.

Secondo il ricorso, la retrodatazione era giustificata dalla connessione qualificata tra i procedimenti e dall’anteriorità dei fatti rispetto alla prima ordinanza. La Cassazione ha condiviso questa impostazione, criticando la motivazione del Tribunale di Catanzaro: «Il quadro investigativo si attestava prevalentemente al periodo 2019-2020 e non sono emerse circostanze più recenti», ha sottolineato la Suprema Corte, aggiungendo che «non è stata adeguatamente motivata la necessità di separare i procedimenti».

La retrodatazione e la desumibilità dagli atti

Un altro aspetto cruciale riguarda la desumibilità degli elementi indiziari dagli atti già disponibili nel procedimento “Reset”. La Cassazione ha rilevato che il Tribunale non ha spiegato adeguatamente perché gli stessi elementi, già esaminati per la prima ordinanza, non potessero essere considerati completi anche per la seconda misura cautelare.

«Era necessario spiegare perché il materiale indiziario originario non manifestasse il suo significato immediato anche per la seconda ordinanza», si legge nella sentenza. La Corte ha quindi disposto il rinvio al Tribunale di Catanzaro per un nuovo esame della questione.

Intercettazioni e gravi indizi di colpevolezza

Tra i motivi di ricorso rigettati, la Cassazione ha respinto le doglianze relative alla mancanza dei decreti autorizzativi e dei verbali delle intercettazioni agli atti. La Corte ha precisato che «la mancata allegazione dei decreti non determina l’inefficacia della misura, ma obbliga il Tribunale a verificarne la legittimità su richiesta della parte».

Per quanto riguarda i gravi indizi di colpevolezza, la Cassazione ha confermato che il Tribunale aveva adeguatamente motivato il ruolo di Ferrise nel sodalizio. La Suprema Corte ha evidenziato come «le captazioni dimostrassero il coinvolgimento attivo del ricorrente nelle attività di spaccio e nelle dinamiche interne del gruppo». Tuttavia, ha ribadito che la lettura del compendio indiziario non può essere oggetto di riesame in sede di legittimità.