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Il tema della droga riscuote sempre grande interesse nei magistrati antimafia che, grazie a questo tipo di indagini, riescono a costruire processi che, com’è successo in passato, determinano condanne pesanti. L’esempio di “Valle dell’Esaro” è lampante, ma ce sono altri, come “Crypto“, “Apocalisse“, “Job Center” o addirittura “Overloading“. Ma per arrivare a sostenere l’accusa in un giusto processo, il cammino da fare è molto lungo. E uno dei passaggi da compiere è, senza dubbio, quello di trovare valide risposte nelle intercettazioni che in inchieste del genere sono l’architrave del procedimento penale. Allora sono utili come il pane le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Soggetti informati sui fatti o protagonisti del traffico di sostanze stupefacenti, i quali possono riferire sulle dinamiche criminali del gruppo.
Se Roberto Presta ha contribuito a fare luce sui rapporti del gruppo con un presunto “broker” reggino, il pentito Celestino Abbruzzese, nella parte dedicata a “Reset“, ha dato la sua versione riguardo alle presunte attività illecite dei fratelli, accusati anche di narcotraffico, non solo di associazione mafiosa nell’ambito della confederazione capeggiata, secondo la Dda di Catanzaro, dal boss di Cosenza Francesco Patitucci.
“Micetto” tuttavia ha fornito elementi indiziari anche in altri procedimenti, anche contro i cugini di Cassano Ionio, raccontando all’ufficio di procura coordinato oggi dal procuratore facente funzioni Vincenzo Capomolla, come si è evoluto il mercato della droga in provincia di Cosenza. E per illustrare al meglio il tutto, è partito dal 2000, anno in cui il padre, Fioravante, era uscito dal carcere. In quel periodo «lo stupefacente veniva acquistato da persone di Rosarno» ha spiegato “Claudio“, il quale subito dopo ha chiarito di essersi occupato di traffico di droga dal 2006 in poi «unitamente ai miei fratelli Luigi, Marco Nicola e a mio cugino-cognato Antonio figlio di Giovanni».
La narrazione di Celestino Abbruzzese è proseguita con Francesco Abbruzzese, il capo degli “zingari” di Cassano Ionio. Secondo quanto riferito da “Micetto“, il cugino cassanese, durante la latitanza nell’area urbana di Cosenza, cercò appoggio anche con “Strusciatappine“, che si sarebbe rifiutato di coprirlo. Erano gli anni in cui tra cosentini e cassanesi ci si metteva d’accordo affinché gli “zingari” di via Popilia acquistassero l’eroina dai parenti di Lauropoli. «Questo accordo venne stretto da “Dentuzzo” e da mio fratello Antonio» ha detto Celestino Abbruzzese. «Era un accordo che conveniva ad entrambi in quanto l’eroina veniva consegnata in conto vendita e pagata a un prezzo inferiore a quello praticatoci dai rosarnesi. In questo modo – ha spiegato il pentito – si poteva garantire delle entrate economiche ulteriori che ci avrebbero permesso di assistere coloro i quali erano detenuti».
A Cosenza «arrivavano dai 3 ai 5 kg di eroina al mese, il costo oscillava dai 20 ai 23mila euro al kg» e i pagamenti venivano corrisposti a un parente di “Dentuzzo“, una volta giunto a Cosenza. Il “sistema” non cambiò neanche dopo la carcerazione di Francesco Abbruzzese e di Antonio Abbruzzese, uno dei fratelli di “Micetto“, secondo gli accordi stipulati in passato. Accordi che poi sarebbero stati rispettati anche da Maurizio Rango e Luigi Abbruzzese, figlio di “Dentuzzo”.