Nega di essersi mai interessato al caso Bergamini. O addirittura di aver avviato un’inchiesta parallela a quella della magistratura nei giorni successivi alla morte del calciatore. Tirato in ballo dal pentito Franco Garofalo, l’ex boss Mario Pranno non ha solo smentito le sue affermazioni. Le ha confutate sulla scorta di un ragionamento: «Se volevo chiedere qualcosa ad Antonio Paese andavo direttamente da lui, non mi rivolgevo certo a Garofalo o ad altri». Pranno è stato sentito ieri come testimone sulla scena del processo contro Isabella Internò, convocato a seguito della lettera a sua firma, pubblicata da Cosenzachannel, con la quale bollava come «bugie» le dichiarazioni del suo vecchio compagno d’arme.

«Per noi era un suicidio»

Cosa diceva Garofalo? Diceva che dopo la tragedia del 18 novembre 1989, proprio Pranno gli avesse chiesto di parlare con Antonio Paese, un altro pezzo da novanta del gruppo, per chiedergli se dietro i fatti di Roseto Capo Spulico vi fosse il suo zampino. Ciò in virtù delle aderenze che l’allora proprietario del bar Oasi di corso Mazzini vantava all’interno della squadra del Cosenza. Nulla di tutto ciò a detta di Pranno. Che lui ricordi, infatti, né lui né altri hanno mai indagato su quella vicenda, semplicemente perché «sapevamo che era un suicidio, non c’era motivo per dubitarne. Che sia stato un omicidio emerge solo oggi in via ipotetica perché lo dite voi».

Calciatori sotto usura

Riguardo al contesto calcistico dell’epoca, le sue conoscenze si limitano a voci raccolte nel suo ambiente. «Si diceva che alcuni giocatori del Cosenza fossero sotto usura, esposti anche per cifre molto importanti». Sulla società rossoblù, invece, nessun dubbio che fosse sotto estorsione. «All’inizio se ne occupava proprio Garofalo» ha precisato, demandando poi «a Franco Pino» la successiva gestione di questo affare.

Storia criminale

Mario Pranno, oggi 66enne, era insieme a Franco Perna il capo del clan che nella prima metà degli Ottanta combatté una sanguinosa guerra contro il gruppo rivale di Franco Pino e Tonino Sena per ottenere il controllo della città di Cosenza. Verso la fine del decennio, le due consorterie siglarono una pace mafiosa condividendo tutti gli affari illeciti fino al 1994, quando la maxi-inchiesta “Garden” pose fine a quella epopea criminale. Meteora del pentitismo, è stato poi giudicato nell’ambito del processo Missing e riconosciuto colpevole di dieci omicidi risalenti ai tempi del conflitto di mafia. scelta del rito abbreviato, il riconoscimento di attenuanti e la continuazione dei reati, gli hanno consentito di uscire dal carcere dopo una ventina d’anni. Oggi è un uomo libero, ma di recente è stato condannato a trent’anni in primo grado per un altro omicidio “sfuggito” al computo iniziale degli inquirenti, quello del commerciante Santo Nigro (1981).

La contromossa della Procura

A tal proposito, per mettere in dubbio la sua attendibilità, il procuratore di Castrovillari e il pubblico ministero hanno chiesto e ottenuto l’acquisizione delle sue sentenze di condanna nonché dell’ordinanza di custodia cautelare per il caso Nigro, annullata quasi subito dal Riesame, ma nella quale si rievocano le dichiarazioni da lui rese nel 2009, sulla scena del processo Missing, con le quali gettava ombre su quasi tutti i pentiti cosentini. L’udienza si è chiusa con l’acquisizione agli atti dell’articolo di Cosenzachannel in cui è riportata la cronaca dell’audizione di Garofalo. A seguire è stato stilato un calendario dei lavori per il prossimo trimestre. Da gennaio e fino a marzo si procederà al ritmo di tre sedute al mese.