«Quella che si è conclusa oggi con una piena assoluzione dell’Avv. Marcello Manna, già sindaco di Rende, è una delle pagine più amare della recente storia politico-giudiziaria calabrese. L’inchiesta Reset, avviata dalla Procura distrettuale antimafia di Catanzaro, esplose con un clamore mediatico travolgente. Arresti in grande stile, volanti, elicotteri, uomini in divisa che circondavano la casa comunale, come nelle scene di un film americano ad alta tensione». È quanto scrive il laboratorio civico di Rende a commento dell’assoluzione dell’ex sindaco di Rende Marcello Manna nell’ambito del processo Reset.

«Le immagini fecero il giro delle televisioni e dei giornali: un intero municipio messo sotto assedio, e con esso la figura di un sindaco rispettato, stimato, mai coinvolto prima in alcun tipo di vicenda giudiziaria, trattato improvvisamente alla stregua di un boss mafioso, come un novello Al Capone da sbattere in prima pagina. A distanza di anni, oggi arriva la parola definitiva della giustizia: tutto infondato. La sentenza di assoluzione cancella ogni ombra, ma non potrà mai cancellare il dolore e l’umiliazione di chi ha visto la propria vita pubblica e personale travolta da una spettacolarizzazione mediatica senza precedenti.

E non è un caso che proprio la Procura da cui partì l’indagine, quella di Catanzaro, abbia nel tempo collezionato un numero altissimo di richieste di risarcimento per ingiusta detenzione. Un dato che interroga, che inquieta, e che impone una seria riflessione sul rapporto tra potere giudiziario, media e tenuta democratica delle istituzioni locali.

Questa assoluzione arriva dopo che anche la parallela inchiesta Malarintha, condotta dalla Procura di Cosenza, si era già chiusa con una serie di archiviazioni e assoluzioni per i componenti della giunta Manna. Due procedimenti, due montagne di carte, più di due anni di delegittimazione, che oggi si rivelano costruzioni inconsistenti, incapaci di reggere alla prova dei fatti. Ma intanto, il danno è fatto.

Il Comune di Rende è stato sciolto, il governo democraticamente eletto è stato sostituito da un commissariamento che ha prodotto effetti devastanti. Chi pagherà per tutto questo? Chi chiederà scusa a un uomo perbene, trascinato nel fango, colpito non solo nelle aule di giustizia, ma nella sua identità, nella sua funzione pubblica, nella sua dignità personale? Oggi, la giustizia assolve. Ma chi restituirà il tempo perduto, lo sguardo diffidente della gente, l’angoscia nel cuore dei familiari di chi ingiustamente e’ stato coinvolto?

Chi potrà risarcire una comunità che aveva scelto un percorso e si è ritrovata privata, con un colpo dall’alto, della possibilità di continuarlo? Il silenzio, ora, non può essere la risposta. Ma ciò che lascia interdetti è il clima in cui questa assoluzione arriva: ci si interroga sul perché, almeno per ora, non vi sia ancora una riflessione pubblica e istituzionale su quanto accaduto.

Ci sarà spazio, nei prossimi giorni, per un serio esame critico da parte di chi, a vario titolo, ha avuto un ruolo nella costruzione e nella narrazione di queste vicende? È forse troppo presto per sentire parole di responsabilità, di autocritica, di chiarimento? Nel frattempo, resta una certezza amara: lo scioglimento del Comune di Rende si è rivelato un provvedimento infondato, ingiusto e profondamente dannoso.

Un atto che ha interrotto bruscamente un percorso amministrativo solido, paralizzato progetti, bloccato risorse, minato la fiducia dei cittadini verso le istituzioni. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: un rallentamento economico, uno svuotamento del confronto democratico, una ferita alla coesione sociale. La verità, oggi, è scritta nero su bianco in una sentenza. Ma non cancella il dolore di essere stati trattati come colpevoli prima ancora che il processo iniziasse. E da qui, da questa ferita ancora aperta, parte una domanda che riguarda tutti: può davvero esistere giustizia, se arriva solo quando tutto il resto è stato distrutto?», conclude la nota del laboratorio civico di Rende.