L’informazione ha sempre avuto il merito (o, in base ai contesti storici, il “demerito”) di riuscire a imporre convenzioni linguistiche diffuse. Sul tema, esiste una bella omelia di Carlo Maria Martini, persona e studioso che manca all’Italia e alla Chiesa di oggi. Uomo del dialogo con tutte le intelligenze dei diversi spazi sociali, fino alle previste contrapposizioni tramutate in imprevedibili forme di ascolto comune (con l’extraparlamentarismo degli anni Settanta e Ottanta, con l’ateismo umanista, coi progressisti israeliani e palestinesi).

Tra le formule invalse del nostro neolinguaggio è entrato da un po’ il semantema “zona rossa“. Per chi lo ricorda, così era chiamato lo striminzito perimetro inibito ai manifestanti nelle giornate di Genova del 2001. Oggi indica quelle terre circostanziate a intensità di contagi superiori alla media e perciò possibili fonti di propagazione del virus.

La triste etichetta, tra i vari comuni calabresi, è stata applicata anche a San Lucido, borgo marinaro cosentino come tanti del nostro Tirreno divisi tra una seducente marina di spiaggia e scoglio e una zona alta, antica, fortificata, storica. La bellezza di San Lucido è forse proprio che quella distanza altrove chilometrica tra rocca e mare si riduce in una continuità viaria di salita, circolazione, popolo.

San Lucido avamposto ellenico e lo si vede spesso nei caratteri somatici della sua gente. La Calabria è terra di incontri tutta: fenotipi svevi e arabici, albani e appunto greci, abbastanza poliedrici e rappresentati. Chi scrive è sensibile al tema, visto che per colori, piazzata e modi l’unico posto in cui non è stato preso per spagnolo, greco, turco o italiano è stata la Fabbrica del Duomo in Milano, dove una cordialissima addetta lombarda ebbe a chiedergli se fosse inglese (senza nemmeno essere ora da pub!).

San Lucido assunse poi una dicitura e una cartografia in parte simile all’oggi grazie ai monaci basiliani – alcuni ruderi sono ancora oggi visibili, se si ha voglia di fare una bella passeggiata dal paese. Basiliani a lungo furono semplicisticamente chiamati molti cristiani orientali, soprattutto da chi con una formula unica e omologante voleva ridurre l’identità dell’altro a marchio, a timbro, a stampo. La regola di Basilio era organizzata secondo una duplice forma redazionale: c’erano norme relative ai “fratelli”, alla vita COMUNE. E altre casistiche, applicabili, pratiche.

San Lucido fu feudo sino all’alba del XIX secolo ma ottenne poi lo status di autonomia. In tempi a noi più recenti, quando nacque l’Università della Calabria, qualcuno immaginava che l’espansione edilizia potesse guardare anche direzione mare (ma in realtà non fu così e l’indotto accademico si fermò soprattutto nel rendese). Tra le personalità native del comune marittimo, luogo ancora di pescati tradizionali, il giurista e deputato Antonio Manes, nel ’45/’46 attivo soprattutto nella contabilità, nell’economia e nel bilancio della futura Repubblica democratica e costituzionale. Manes zelante avvocato in Roma, portato alle nascenti sfide del diritto societario e del diritto del lavoro che mal stavano tutte ridotte nel Codice fascista del 1942.

Oggi fa male sentir parlare di questo comune e di altri come focolaio di untori, come terra dissoluta di contagi indiscriminati e superficiali, quando pur bisognerebbe ammettere che mai come in questo caso le infezioni sono state dettate da consuetudine di contatto, da sottovalutazione, da humus di comportamenti forse inavveduti e certamente di buona fede (ciò a nostro avviso deve senza meno sceverare le accuse, le rampogne, i giudizi sommari, i pulpiti).

Quando sarà alle spalle il pericolo che è scivolato dai nostri incubi al nostro vissuto, speriamo ardentemente l’idea di zone rosse non sia incistata e le persone tornino a vivere quei luoghi per quanto e quello che son sempre stati. Ci immaginiamo con sollievo sorseggiare una chiara a sera tarda quando la calura allenta e un mare docile è cullato da una brezza sottile.