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«Il mio primo atto da assessore sarà il trasferimento dei Bronzi di Riace da Reggio a Cosenza». Correva l’anno 2016 e Vittorio Sgarbi era in corsa per entrare nella giunta Occhiuto. Nel 2020 cambiò idea: non in Calabria dovevano stare le statue, che dichiarò essere «ostaggio della ’ndrangheta», ma a Roma. Polverone, il solito. Critiche, una valanga. Come sempre, affrontò tutto con una scrollata di spalle e, nonostante gli sforzi di spostare i guerrieri altrove, alla fine dovette arrendersi.
Il critico d’arte, per tutti “il professore”, poco amante del fioretto ma appassionato della lancia con cui trafiggere bon ton e politicamente corretto, buone maniere e convenzioni, fu assessore a Cosenza, per poco. Prima di andarsene con un assessorato alla Bellezza in tasca.
Vittorio Sgarbi e Cosenza
Una storia d’amore lunga, quella tra Sgarbi e la città dei Bruzi, cementata dalla sua amicizia con l’ex sindaco Mario Occhiuto, che aveva pensato per lui prima a un ruolo di primo piano per la cura del centro storico e poi a uno più creativo, alla vigilia della rielezione, annunciata dall’immagine del critico calato in una carriola.
Nel 2009 fece scaldare l’animo anche di Giacomo Mancini, allora sindaco, a cui Sgarbi dedicò una puntata del suo “Sgarbi quotidiani”. «Le mie idee sulla materia della quale tu ti occupi non sono state in alcun modo modificate nella campagna elettorale – scrisse Mancini. – È rimasto immutato il mio pensiero politico, che confermo in tutte le occasioni. Non mi sono pentito del voto che ti ho dato nell’ultima campagna elettorale. Saluti affettuosi e coerenti».
Vittorio Sgarbi e la Calabria: un richiamo più forte di quello della foresta di londoniana memoria, ma senza lupi. Se prima fu la Rivoluzione della capra, poi divenne il Rinascimento del turdillo, con annesso scatto a piedi scalzi sul divano di velluto del Comune cosentino, che fece arrabbiare tutti in città. Tant’è. Alla fine, a quelle regionali non partecipò mai, forse se ne dimenticò addirittura.
«Sono legato a Cosenza da una lunga storia, che è generalmente ricordata dalle persone che hanno visto la loro città rinascere proprio nel momento in cui io ho rivisitato il centro storico – disse in un’intervista rilasciata a Bonaventura Scalercio. – Da qui una consapevolezza diffusa, tanto da rianimarlo. Mi sembra dunque che chiunque possa riconoscere che Cosenza è un luogo in cui la mia presenza ha una logica, un senso e una storia».
Le condizioni di Sgarbi restano sospese, così dicono i familiari, che hanno vissuto giornate complicate dopo il ricovero di uno dei personaggi mediatici più discussi degli ultimi trent’anni. I medici parlano di depressione, ne parla anche lui stesso andando per metafore: «È un treno fermo in un luogo ignoto», ha detto, parlando del male che ha cominciato ad affliggerlo dopo un intervento al cuore e la scoperta di un tumore alla prostata.
Lui, che ha sempre fatto dell’iperattività un modo di vivere assoluto, in parallelo alla sua attitudine allo scandalo verbale belluino. Lui, che amava accogliere i suoi ospiti in casa in tenuta adamitica. Lui, che di donne ne ha amate tante, ma non sempre le ha accarezzate nelle sue uscite pubbliche. Adesso è inchiodato a una realtà che non accetta.
Il mondo della cultura e della politica, compresi gli spietati avversari con cui Sgarbi ha duellato in passato, si è stretto intorno a lui, augurandogli di tornare a essere quello che era un tempo: discusso, passionale, polemico.
Il suo alter ego cosentino, Franco Corbelli, che ha eletto il professore come modello estetico e verboso, sulla sua pagina social sta facendo il tifo per il suo mentore, a cui già alla fine degli anni Novanta cercava di somigliare, anche nel format “Sgarbi quotidiani”. In quello spazio televisivo, che andava in onda prima di Non è la Rai, c’era lui e, dietro, un Magritte che ritraeva un’unghia di luna e una roccia sospesa nel vuoto. Un po’ come lui in questo momento: un corpo appesantito dalla malattia che vorrebbe solo volare.