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Cosenza cambia il nome al futuro museo nell’ex Hotel Jolly, ma non cambia la sostanza: il progetto è lo stesso approvato dalla precedente amministrazione comunale guidata da Mario Occhiuto. Cambia l’etichetta, non il contenuto. Da “Museo Alarico” a “MAC – Museo d’Arte Contemporanea”: un’operazione di rebranding politico che, secondo i consiglieri comunali di minoranza, cela un tentativo piuttosto evidente di intestarsi meriti non propri.
L’inaugurazione in pompa magna del cantiere nei giorni scorsi, con tanto di dichiarazioni trionfali del sindaco Franz Caruso, ha riacceso i riflettori su un progetto la cui storia – e soprattutto i suoi tempi – raccontano qualcosa di molto diverso da ciò che oggi l’amministrazione vuole far credere.
A denunciarlo con forza è l’intero gruppo consiliare di minoranza, che in una nota congiunta firmata da Francesco Caruso, Francesco Cito, Giuseppe D’Ippolito, Alfredo Dodaro, Francesco Luberto, Ivana Lucanto, Antonio Ruffolo, Francesco Spadafora e Michelangelo Spataro, parla senza mezzi termini di «superficialità e pressappochismo» nella gestione della cosa pubblica da parte dell’attuale amministrazione comunale.
Un progetto nato con Occhiuto e fermato per tre anni
“Vorrei ricordare – scrivono i consiglieri – che l’intervento per il recupero e la riqualificazione dell’ex Hotel Jolly, destinato a diventare un polo museale, era già stato interamente progettato, finanziato e appaltato sotto la giunta Occhiuto. La demolizione dell’edificio era già stata eseguita. Era tutto pronto. Eppure, all’indomani dell’insediamento della nuova amministrazione, il progetto è stato bloccato senza una reale motivazione tecnica, ma solo per motivi di avversione politica”.
Un blocco durato tre anni. Un tempo lunghissimo in cui l’area è rimasta “una discarica a cielo aperto, maleodorante e degradata”, in una zona cruciale e simbolica per la città: ai piedi del centro storico, lungo il Crati, lì dove un tempo sorgeva l’iconico Hotel Jolly.
La scelta di fermare tutto – senza alternative né proposte migliorative – ha avuto effetti tangibili: una colpevole perdita di tempo che ha privato la città di un’infrastruttura culturale moderna, già finanziata, con un appalto assegnato e lavori già avviati.
Un’operazione di facciata: cambia solo il nome
L’unico cambiamento che l’amministrazione Caruso ha apportato al progetto è il nome: non più Museo Alarico, ma Museo d’Arte Contemporanea – MAC. Una modifica simbolica, che però nella comunicazione istituzionale viene fatta passare come sostanziale.
“La verità è che non hanno potuto cambiare nulla – precisano i consiglieri –. Il progetto è vincolato al finanziamento ricevuto. Qualsiasi variazione sostanziale avrebbe fatto perdere i fondi. E infatti l’appalto è stato lasciato com’era, l’impresa esecutrice è la stessa, e i contenuti del progetto restano gli stessi, identici a quelli approvati con Occhiuto sindaco”.
Un progetto “obbligato”, dunque. Che si è scelto di non mandare avanti per anni, salvo poi riprenderlo in extremis e presentarlo come nuova visione culturale.
Un’abitudine già nota
Secondo la minoranza, questa dinamica non è affatto un’eccezione. “L’amministrazione Caruso ha fatto della demolizione del lavoro altrui la propria cifra distintiva. Un modo di fare politica che preferisce distruggere piuttosto che costruire, salvo poi appropriarsi di ciò che non si può evitare di realizzare, perché vincolato a fondi pubblici”.
Non si tratta solo del Museo. Episodi simili si sono già verificati in altri ambiti, dalle opere pubbliche alla programmazione culturale, dalle infrastrutture alla mobilità urbana. Sempre con lo stesso copione: bloccare, rinviare, rinominare, intestarsi.
Le parole del sindaco e la replica
Durante l’inaugurazione del cantiere, il sindaco Caruso ha dichiarato: “Questo spazio rischiava di restare un’incompiuta”. Parole che hanno acceso la miccia della polemica.
“Falso e fuorviante”, ribattono i consiglieri. “L’unica responsabilità per il ritardo è dell’attuale amministrazione, che ha tenuto il progetto fermo. Se oggi si può parlare di museo è solo grazie a ciò che era già stato fatto prima”.
Ma allora, perché cambiare il nome?
Per la minoranza è chiaro: “Il Museo Alarico era fortemente identificato con la visione culturale della giunta Occhiuto, legata alla valorizzazione dell’identità storica della città e del centro antico. Cambiare il nome serve solo a cancellare quella narrazione e tentare di sostituirla con un’altra, senza però aver elaborato nulla di realmente alternativo”.
Il rischio del vuoto culturale
Oltre all’aspetto politico, resta il tema culturale. Un museo non è solo un edificio. È un contenitore di contenuti, un progetto curatoriale, una visione. In questo senso, il cambio di nome senza un vero nuovo concept lascia dubbi su ciò che sarà davvero il MAC.
“Il Museo Alarico aveva un’identità chiara, legata alla storia longobarda e al patrimonio locale. Il MAC, oggi, è solo un acronimo senza contenuti pubblici noti. Non si sa chi lo dirigerà, quali opere conterrà, quale sarà il suo rapporto con le istituzioni culturali della città. È solo un guscio vuoto”, denuncia l’opposizione.
Un rischio concreto: trasformare una grande occasione in un contenitore senza anima, nato solo per “cancellare” un simbolo della precedente amministrazione.
I cittadini meritano trasparenza
Nel loro intervento, i consiglieri insistono su un punto: il diritto dei cittadini a essere informati con correttezza e trasparenza.
“Non si può continuare a vendere come nuove le cose già fatte da altri. L’onestà intellettuale dovrebbe essere il punto di partenza di ogni amministrazione pubblica. Invece si preferisce la propaganda”.
Per questo motivo, la minoranza ha annunciato nuove iniziative di comunicazione per raccontare ai cosentini, nero su bianco, come stanno realmente le cose. E per rimettere al centro della discussione pubblica ciò che conta davvero: la qualità della visione culturale, i tempi di realizzazione, e la capacità di progettare il futuro con competenza e responsabilità.