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di Spartaco Pupo*
Per il solo fatto di avere sottratto il tema della città unica Cosenza-Rende-Castrolibero alle pulsioni populistiche e propagandistiche, la proposta legislativa della Regione Calabria va salutata con grande favore. Il progetto finalmente si inquadra nella sua giusta cornice, che è quella istituzionale, come vuole la democrazia, quella vera, in cui il potere del popolo si esercita nelle istituzioni rappresentative. Tra queste ultime, ormai da oltre cinquant’anni, figurano le Regioni, che non sono meri enti territoriali, ma attori legittimati ad agire nei limiti dettati dalla Costituzione.
Questa proposta di legge è maturata in un consesso democraticamente eletto e legittimato a legiferare sulla base dell’autorità che l’ordinamento e il consenso popolare ricevuto gli attribuiscono. È pertanto paradossale qualificare l’iniziativa regionale come “atto di imperio”, come sostengono gli “spregiatores” della proposta, che pure dicono di appartenere a quelle culture politiche “progressiste” che il regionalismo in questo Paese l’hanno inventato e introdotto, contro il volere della destra. Fu la sinistra post-comunista, in particolare, attraverso Bassanini e le leggi che portano il suo nome, a ridisciplinare, più recentemente, proprio la materia delle competenze delle Regioni, Calabria compresa.
Non si può, allora, per qualche recondito interesse personale o di partito sminuire quelli che sono i poteri, le funzioni e le materie di competenza della Regione, la cui iniziativa, peraltro, è perfettamente in linea con il dettato costituzionale. L’articolo 133, al secondo comma, infatti, stabilisce che “è consentito alle Regioni di istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e di modificare le loro circoscrizioni e denominazioni, a condizione che siano sentite le popolazioni interessate”. Né serve essere giuristi esperti per sapere che esiste una gerarchia tra gli enti, che la Regione è sovraordinata ai Comuni e che l’inserimento delle Regioni nello spazio intermedio tra Stato ed enti locali ha costituito il più forte elemento di rottura dell’architettura istituzionale accentratrice e autoritaria di derivazione napoleonica. Additare quindi la Regione di “autoritarismo” vuol dire disconoscere non tanto la storia del diritto e delle istituzioni politiche quanto il significato più autentico di democrazia e libertà costituzionali.
Chi alza barricate in nome della democrazia “dal basso” dimentica che non v’è nulla di più “basso” della possibilità di esprimersi attraverso un referendum consultivo, costituire spontaneamente comitati civici “pro” e “contro” la proposta e offrire suggerimenti utili attraverso le audizioni. E a quanti, in nome di una non ben argomentata aderenza al “principio” democratico, recriminano per la mancata iniziativa preventiva dei Consigli comunali interessati, occorrerebbe chiedere se sono a conoscenza di un solo atto che gli stessi abbiano in tutti questi anni compiuto in favore dell’accorpamento di qualche servizio e della tanto sbandierata razionalizzazione e semplificazione. Si potrebbero anzi elencare i numerosi episodi di schermaglie campanilistiche, alcune anche plateali. Nondimeno, l’auspicato protagonismo dei Comuni, nella casistica delle fusioni, attiene meramente alla prassi o consuetudine, non certo alle procedure fissate dalla Costituzione, che rimane la nostra guida sempre, anche quando essa non sembra venire incontro alle esigenze contingenti e di parte.
Esiste una scala di priorità rispetto alla quale attaccarsi alle quisquilie dottrinali o agli espedienti per un ennesimo rinvio può rivelarsi un atto di irresponsabilità. Davvero l’esigenza di far decidere prioritariamente i municipi, ammesso che ne abbiano la reale volontà politica, o di allargare in questa fase il discorso a questo o a quel Comune limitrofo conta più della gravità dell’emergenza economica, sociale e legalitaria che è sotto gli occhi di tutti?
L’inarrestabile processo di decrescita demografica, dovuta in gran parte all’emigrazione forzata, di un’area urbana in evidente arretramento rispetto al protagonismo di altre aree della regione, il peggioramento della qualità della vita per la mancanza di adeguate strutture sanitarie e la disastrosa situazione finanziaria dei Comuni, la mancanza di un sistema di mobilità pubblica e infrastrutturale degno di questo nome – sono tutti elementi di una situazione emergenziale che dovrebbero bastare a far vincere la paura di perdere vecchie certezze elettoralistiche e qualche rendita di posizione. Se a ciò si aggiunge il recente scioglimento per infiltrazioni mafiose di un Comune importante della triade, si dovrebbe iniziare seriamente a riflettere sull’opportunità di spostare il baricentro del controllo di quel territorio, per cercare di “diluire” il più possibile l’accertato potere di condizionamenti esterni. A tal proposito, l’eccessiva dilazione dei tempi, che pure si paventa, potrebbe risultare fatale in termini di tenuta democratica.
Neanche i campanilisti più retrivi osano negare la positività di certi indicatori: l’uniformità nell’assetto geomorfologico, l’omogeneità culturale a fondamento di un’unica “identità”, la prossimità urbanistica e infrastrutturale che rende sempre più superflui gli attuali confini, la continuità relazionale, l’interscambio sociale e la possibilità di usufruire di qualche centinaio di milioni di euro in incentivi utili al risanamento delle casse comunali. Da quest’ultimo punto di vista, se Cosenza piange, Rende non ride!
Dopo la stagnazione di tutti questi anni, il fatto che qualcuno si sia finalmente assunto la responsabilità politica di intervenire per tentare di ridare un futuro alle giovani generazioni è motivo di lode. Il progetto di fusione è in sintonia con il comune sentire degli uomini e delle donne di questo comprensorio, sempre più indifferenti alle lagnanze di qualche amministratore restio a rinunciare al proprio orticello. E il decisionismo che lo sorregge è indice di autorevolezza e rappresentatività, qualità purtroppo sempre più evanescenti alle nostre latitudini.
* Spartaco Pupo, Professore di Storia delle dottrine politiche dell’Università della Calabria, Nuova Cosenza – Comitato per il Sì