La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato da Damiano Pepe contro l’ordinanza con cui la Corte d’Appello di Catanzaro aveva rigettato la sua istanza di riparazione per ingiusta detenzione. L’uomo, originario di Corigliano, aveva scontato un periodo di carcerazione superiore rispetto a quanto effettivamente dovuto, a seguito di un errore nella determinazione della pena in sede esecutiva. Ora, secondo quanto stabilito dalla Suprema Corte, avrà diritto a un nuovo giudizio per valutare il riconoscimento dell’indennizzo previsto dall’articolo 314 del codice di procedura penale. Parliamo dell’ingiusta detenzione.

Damiano Pepe, una lunga detenzione oltre i limiti

Pepe era stato arrestato il 23 luglio 1998 in esecuzione di un fermo per gravi reati. Da quel momento ha scontato diverse pene derivanti da numerosi procedimenti, successivamente oggetto di cumulo e applicazione della continuazione in sede esecutiva. Il nodo giuridico è sorto proprio in questa fase: nonostante una prima ordinanza del 2006 avesse già riconosciuto la continuazione tra alcuni dei reati contestati, una successiva decisione del 2020 ha parzialmente disconosciuto quel vincolo, escludendolo per una delle condanne.

Solo nel 2022, dopo l’intervento della Cassazione e un nuovo esame da parte della Corte d’Appello, è stato finalmente ricostituito il corretto cumulo delle pene. A quel punto, Damiano Pepe è stato scarcerato, avendo scontato un anno e mezzo in più del dovuto. Di qui la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione.

L’errore giuridico c’è stato: lo afferma la Cassazione

La Suprema Corte ha chiarito che non si è trattato di una legittima discrezionalità del giudice dell’esecuzione, ma di un «chiaro errore giuridico» consistente nel non aver tenuto conto della portata logico-giuridica del vincolo di continuazione già riconosciuto nel 2006. L’ordinanza impugnata – si legge nella sentenza – ha «misconosciuto la precedente statuizione» e ha dunque prodotto una detenzione indebita in violazione dei principi costituzionali e della Cedu.

La Corte ha inoltre ricordato che la giurisprudenza più recente, nazionale ed europea, riconosce il diritto alla riparazione anche per detenzioni ingiustamente sofferte in fase esecutiva, quando vi è una violazione di legge non imputabile al comportamento del condannato.

Nuovo giudizio a Catanzaro

Con l’annullamento dell’ordinanza, la Cassazione ha disposto il rinvio alla Corte d’Appello di Catanzaro, che dovrà ora pronunciarsi nuovamente sulla richiesta di risarcimento avanzata da Pepe. La decisione dovrà tener conto del principio, ormai consolidato, secondo cui anche gli errori commessi nella fase finale del procedimento – l’esecuzione della pena – possono legittimare il riconoscimento del diritto alla riparazione.

Chi è Damiano Pepe

Pur non essendo di etnia rom, Damiano Pepe è stato considerato per anni uno dei vertici del clan dei nomadi di Cassano all’Ionio, successore naturale di suo fratello Eduardo, ucciso ai tempi della guerra di mafia contro la cosca Forastefano.