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di Arnaldo Golletti*
Se riflettere senza pensare talvolta si può rivelare esercizio miserabile, per volare poco poco più alto, andando oltre le categorie politiche del secolo scorso, della destra e della sinistra vale a dire, potremmo provare ad azzardare che a Rende, questa volta, si misurano – senza scomodare “la visione del mondo” e “la visione della vita” – tre diverse concezioni dello Stato, della società e della politica.
E senza volere, per questo, trascurare il candidato Bonanno e la candidata pentastellata, la quale nel quadro venutosi a creare è destinata a ritagliarsi nel futuro consiglio comunale, un ruolo antagonista. Sapendo intanto che gli “antagonisti”, per definizione, si pongono in maniera antitetica alla realtà mentre l’dea dei Navigli, salva la loro fattibilità subordinata alla risoluzione delle correlate problematiche inerenti gli aspetti idraulici, naturalistici e paesaggistici, che devono essere esaminati con attenzione, verosimilmente, tale proposta potrà essere fatta propria dal futuro Sindaco. Si tratterà semmai di decidere quale delle due rive scegliere, se la “rive gauche” o la “rive droite”.
A Rende dunque la competizione è tra un candidato che in teoria dovrebbe rappresentare il fronte conservatore, qualora esistente, un candidato così detto progressista e in ultimo, non da ultimo il candidato riformatore. Tanto pur sapendo che viviamo un tempo in cui i progressisti non sanno più cosa cambiare esattamente e i conservatori non sanno cosa conservare.
Per di più a Rende dove, sia nel caso del “centrodestra” sia nel caso del “centrosinistra”, questi non possono vantare una propria storia amministrativa alla quale poter fare riferimento, che possa essere additata ad esempio, da indicare al corpo elettorale., e capace di convogliare il consenso della maggioranza dei cittadini. Oltretutto se si tiene conto del sostegno politico fornito, nel decennio trascorso, da entrambi gli schieramenti, sebbene con gradi di responsabilità diversi, alla precedente amministrazione comunale, poi “disciolta” con la quale fuor di metafora nonostante la Madonna della Consolazione di Arcavata “il cieco e lo zoppo” non sono guariti.
Tanto riguarda, perlomeno, Forza Italia e il Partito democratico, e da ultimo, la stessa Lega. Con questo equivoco di fondo scarsa credibilità assumono gli stessi richiami alle “identità politiche” che d’altra parte si presentano peraltro sotto mentite spoglie e se si escludono, al riguardo, le eccezioni di Fratelli d’italia e dei pentastellati.
Varrebbe la pena forse dare una lettura, a questo proposito, al testo di Alain de Benoist “La scomparsa dell’Identità” ovvero “Come orientarsi in un mondo senza Valori” per i tipi di Giubilei Regnani. Nel libro, De Benoist, difatti, analizza la perdita di punti di riferimento in un mondo dove le grandi narrazioni collettive sono scomparse, le frontiere si dissolvono e i legami sociali sono sempre più fragili. E ci soccorre altresì Edouard Schurè il quale, nei “Grandi Iniziati” , afferma che: “… per essere mietitori giocondi bisogna essere stati prima seminatori fecondi…”.
Quello di Rende è un elettorato che non si lascia beffare e l’esito del recente referendum sta lì a dimostrarlo.
Sanno bene i rendesi che la posta in gioco non è data dalla consistenza della rappresentanza politica che ciascun partito riuscirà ad ottenere nel futuro Consiglio Comunale ma meglio l’elezione del Sindaco. Per definizione diretta, frutto esclusivo della volontà popolare senza possibilità di condizionamenti da parte dei partiti e/o dei cacicchi di turno. Sbarazzando un po’ la muffa che si è depositata nel frattempo, solo un richiamo, a questo proposito, all’anno di grazia 1993 del secolo scorso e all’esperienza primaria di Cosenza – che assunse rilievo nazionale – costruita intorno alla personalità di Giacomo Mancini, e su una formula tanto originale quanto eretica e temeraria, che andava oltre gli schemi di fine ‘900, e che il “sistema dei partiti” – bolso – di allora non capì assolutamente, e Mancini fu eletto sindaco a onta di quegli stessi partiti.
Preferendo “…indulgere nei paradossi, piuttosto che nei pregiudizi”. L’incontro tra una sorta sinistra nazionale e il socialismo tricolore di Enrico Landolfi, Giano Accame e al quale ha fatto riferimento di recente Franco Cardini.
Avendo introdotto nel lucido dibattito scaturito, tanto fervido quanto generoso, ad arricchire la dimensione cosiddetta civica, rappresentata principalmente dalla pressante domanda collettiva di rigenerazione dello spirito pubblico, mortificato dalla degenerazione del partitismo, e colta, in quella fase politica, principalmente dal versante della destra radicale, anche temi di più ampio respiro e portata, e in una certa misura anticipatori del livello nazionale, quali per esempio, la fuoriuscita del paese, finalmente, dall’interminabile dopoguerra, il superamento delle dicotomie destra-sinistra, comunismo-anticomunismo, e della sempiterna fascismo-antifascismo, in assenza assoluta di fascismo.
E ancora, in una volta, e per volontà autenticamente popolare, delle lobby politico-affaristiche più o meno “esoteriche” e più o meno palesi, che avevano soffocato la vita pubblica cittadina. Sotto questo profilo non c’è cittadino rendese che non abbia tratto già il convincimento e la consapevolezza che la partita del Sindaco è stata già vinta dal candidato riformatore, accreditato come tale nell’opinione pubblica più vasta, paradigma e punto di riferimento perché ritenuto il solo capace di ricostruire l’idea di un orizzonte comune della città del futuro.
Certamente in grado di sopperire alla penuria di contenuti politici e con la speranza che possa essere capace anche di contrastare la crisi di rappresentanza degli ultimi lustri e la venuta meno degli equilibri necessari che – in passato – erano stati garantiti – asseritamente – dalla natura popolare tanto delle forze di governo quanto di quelle di opposizione, e senza che questo sia stato sostituito da altro.
Il “regno del nulla” appunto che nella “Comunità” ha generato un distacco crescente di partecipazione e che, Galli Della Loggia, ha definito “esiziale”. All’interno vale a dire di una visione capace di delineare un piano strategico dell’area “metropolitana” là dove l’obiettivo fissato deve essere quello di ridefinirne la funzione, in grado di farle recitare il ruolo che le compete storicamente, culturalmente e socialmente nelle Calabrie.
Ed è questo il motivo perché, in assoluta indipendenza ideale e culturale e in grado di poter respingere ogni forma di subalternità rispetto a quelle aggregazioni politiche inclini alla consociazione lobbistica più o meno palese, a gruppi affaristici e alle consorterie criminali, che sentiamo di evidenziare al candidato Sindaco per la “destra-centro” , l’occasione data di porsi piuttosto sulla scia di Sandro Principe, per essere d’aiuto alla Città, mettendo insieme le buone idee, per innovare e per dare speranza alle nuove generazioni.
Cercando di essere piuttosto che a destra e a sinistra, a valle. In ascolto di ciò che viene, e a prescindere dei rapporti di forza che potranno scaturire dal responso delle urne.. Siamo fermamente convinti infatti che è possibile coltivare la propria specificità politica e di concepire la propria diversità culturale in chiave sinergica per giungere alla definizione di una sintesi che si situi nel cuore della nostra tradizione comunitaria e popolare, e in grado di segnare una via originale alla modernizzazione della Città federando, in altre parole, le diverse culture politiche che mostrano interesse a confluire in un progetto riformatore.
Senza fare “intelligenza con il nemico” e lasciando lo schieramento del progressivismo woke generato dal “relativismo culturale”, alle prese con l’illusione di poter battere Sandro Principe, da questi percepito come “il nemico principale”.
Con la stessa franchezza, e in assoluta libertà di pensiero, rincresce dover fare notare al candidato di “Generazione” che i suoi generosi sforzi in realtà sono vanificati dalla “palla al piede” che si trascina dietro, rappresentata dal malinteso “civismo” e dalle vecchie e nuove diarchie politiche che lo hanno “generato”, e che hanno operato, un decadimento politico-amministrativo che rintraccia rari precedenti.
Al riformatore Sandro Principe invece sentiamo di chiedere un impegno aggiuntivo squisitamente metapolitico volto al superamento del deficit di élite politica mettendo in campo una nuova “classe dirigente” scandita da personalità credibili e autorevoli, per farla finita con “il male minore”.
Un male necessario non è un male minore. Il peggiore dei mali è quello di cui si ha bisogno. Per arrestare la decadenza della politica, di quella categoria di neo politici – come abbiamo visto – che si spinge al punto che essi scelgono d’istinto e in modo paradossale ciò che accelera verso il collasso.
*già segretario provinciale e consigliere comunale del Msi