Tutti gli articoli di Lettere e Opinioni
PHOTO
di Roberto Le Pera*
In una giornata come questa -l’evento organizzato dal COA di Cosenza per la consegna delle Toghe d’oro e d’onore del Foro bruzio e tenutosi a Palazzo Arnone, ndr- abbiamo il dovere di denunciare che è in corso una massiccia azione, sia mediatica che giudiziaria, contro il diritto di difesa. Si è giunti a intimidire, mediante social, il legale di Filippo Turetta, professore di diritto penale all’Università di Padova, per costringerlo a rinunciare alla difesa del ragazzo reo confesso del femminicidio di Giulia Cecchettin, poiché la giovane vittima era studente di quell’ateneo.
E non si può sottacere sul fatto che, a Milano, è in corso un processo in cui i difensori, nell’esercizio del diritto costituzionale delle difesa del loro assistito mediante la produzione di consulenze tecniche, vengono indagati e i loro studi perquisiti proprio dalla stessa Procura che sta partecipando a quel processo e che gli esiti di tali indagini sono fatti confluire nel fascicolo processuale.
Ma, non si deve andare lontano per parlare di diritti di difesa annientati. Pensiamo alla Calabria giudiziaria, anzi alla Cosenza giudiziaria. È normale che oggi la Camera penale di Cosenza sia costretta a rivendicare il diritto a celebrare i processi – primo tra tutti il processo RESET– nei palazzi di giustizia del Tribunale territorialmente competente ossia Cosenza, anziché in bunker edificati in lande fuori provincia a Lamezia Terme, in cui il primo a sembrare addotto a sospetto è proprio l’avvocato? Talmente pericoloso da dover abbandonare la propria auto a centinaia di metri di distanza dall’accesso dell’aula e ivi giunto controllato in tutto e per tutto, sempre secondo le prescrizioni delle preposte autorità?

Pensiamo, però, anche ai comportamenti di alcuni avvocati – fortunatamente una esigua minoranza- che quotidianamente legittimano o quanto meno danno linfa a questo tentativo di erosione di diritti. Pensiamo ai comportamenti di certa parte dell’avvocatura che mortificano la difesa d’ufficio e la relegano a un rito funebre da officiare freddamente. Ma, su tutto: come pensiamo di essere percepiti Avvocati, nel significato che a questa funzione hanno dato martiri della Toga, quali l’Avvocato Fulvio Croce e il concittadino Avvocato Silvio Sesti, se assistiamo a prassi comunicative distorte da parte di taluni avvocati, fortunatamente pochi, in palese contrasto con le regole deontologiche che governano il rapporto con la stampa e con gli altri mezzi di diffusione?
Una vera e propria giungla: articoli di stampa con l’assenza di nominativi di parti processuali o al più con loro iniziali punteggiate, compensate però dai caratteri cubitali con cui sono chiaramente riportati i nominativi degli avvocati, accompagnati non di rado da servizi fotografici conditi dalla enfatizzazione di eroiche capacità professionali. Questi comportamenti non sono dettati da stringenti esigenze di difesa e non svolgono alcun interesse per la tutela dell’assistito, ma sono solo rivelatori di finalità private che consegnano alla società l’immagine di un’avvocatura scomposta e volgare.
E infine, pensiamo anche a quelle aule di udienza in cui si celebrano procedimenti civili nel cui ambito si notano alcuni avvocati che compaiono non dinanzi ad un Giudice ma al cospetto di un Giudice, perché tale è l’immagine che si dà al cittadino allorquando l’avvocato, anziché stare tra i banchi dei tutori del diritto, è in piedi, come sugli attenti, di fronte al giudice e al cancelliere, entrambi accomodati.
Dignità e decoro dell’avvocatura significa anche rispetto delle forme: l’Avvocato deve stare orgogliosamente in aula nei posti in cui siedono i tutori della legalità. Anche – o forse soltanto – mediante una incessante autocritica rispetto ai propri comportamenti, l’Avvocatura potrà difendersi da quella malsana idea che si annida in diversi contesti giudiziari e sociali secondo cui l’onestà intellettuale e l’autonomia culturale di un avvocato dipendono dalla distanza tra le nostre scrivanie e gli assistiti.
*Presidente Camera penale di Cosenza