Tutti gli articoli di Lettere e Opinioni
PHOTO
di Roberto Le Pera*
Chi sorveglia il giudice rispetto alle ingiuste detenzioni? Il giudice. Chi sorveglia il giudice rispetto alle ingiuste imputazioni? Il giudice. Chi sorveglia il giudice rispetto agli errori giudiziari? Il giudice. Chi sorveglia il giudice rispetto alle sue responsabilità? Il giudice. I giudici sono soggetti soltanto alla legge. E la legge è l’interpretazione data dal giudice dell’enunciato normativo.
Dunque, i giudici sono soggetti alla loro stessa interpretazione. Si pensi a quanta responsabilità e dignità costituzionale, in termini di autogoverno, ha giustamente, correttamente riservato ai giudici questo Stato di diritto, che, proprio per ritenersi tale, ha deciso di assoggettare il giudice solo e unicamente alla legge Ma questo credito fiduciario, concesso dallo Stato al giudice, è stato adeguatamente ricambiato ? Lo spaccato giudiziario consegnatoci dal “caso Palamara” è desolante.
Si può ritenere che l’autonomia della magistratura sia intaccata da una seria riforma sulla separazione delle carriere – qual è l’attuale – oppure sia stata persa nella notte dell’Hotel Champagne, tra l’8 e il 9 maggio 2019. E non si riproponga il tema – agitato dai detrattori della riforma- del timore che la separazione priverebbe pubblici ministeri e giudici della medesima cultura della giurisdizione. Perché tale differenza, nei fatti, esiste. Il magistrato del pubblico ministero, in qualche caso, sta divenendo opinionista in salotti televisivi nei quali, nella più completa assenza di contraddittorio qualificato, diventa, perciò, bocca della verità: anziché limitarsi all’osservanza della legge e alla sua applicazione, la critica diffusamente e mediaticamente in modo tale da assurgere a quel ruolo di parte partigiana inconciliabile con la terzietà della funzione giurisdizionale.
Questa è la ragione per cui lo ius dicere deve continuare ad appartenere soltanto al Giudice. Pertanto, è privo di ogni forma di interesse il fatto che il Pm abbia la stessa forma mentis del giudice. Ciò che invece interessa, non soltanto a noi avvocati, ma ad una società veramente democratica, è che il giudice non abbia quella del Pm.
L’avvocatura, nella comunicazione sociale o social, dovrebbe evitare che la giustissima riforma sulla separazione – che è ancor più giusta perché porta con sé la formula del sorteggio che evita il predominio delle correnti sul corretto esercizio della giurisdizione – venga avvertita come una sfida dell’avvocatura contro la magistratura. L’errore che l’avvocatura dovrebbe evitare è quello di partecipare a sessioni e incontri esclusivamente tenuti tra avvocati e magistrati ossia tra coloro che rimarranno sempre delle proprie idee.
L’errore è non far stare al centro di ogni serio dibattito sulla separazione delle carriere il cittadino che, indagato, per questo sottoposto a cautela personale carceraria e inserito in un maxiprocesso di centinaia di presunti innocenti, scopre, dopo venti giorni che l’ordinanza con cui è stato arrestato è la riproposizione della richiesta di cattura di un Pubblico Ministero. E che un giudice lo abbia successivamente scarcerato per aver riconosciuto la illegittimità di quel provvedimento non significa che non v’è bisogno della separazione delle carriere, anzi è la conferma della necessità di un sistema differenziato che garantisca le libertà sin dal principio e le condizioni all’esito dell’impugnazione del malcapitato.
Occorre parlare alla gente, per fare comprendere la civiltà di questa riforma della separazione, con espressioni più semplici. Non bisogna parlare di guerra, di riforma contro i magistrati. Non ha senso. È fuorviante, populista, perdente. Bisogna far comprendere che la separazione delle carriere non è la riforma di questa o di quella parte politica.
Ma che è la pazza idea di “Stato veramente di diritto” condivisa pienamente anche dal più alto riferimento di legalità, Giovanni Falcone, che l’ha sempre ritenuta coerente con la Costituzione. Il rischio è che si trovi conveniente far passare la separazione delle carriere come uno scontro tra politica e toghe, perché una chiave simile – come affermato dall’avvocato Beniamino Migliucci, Presidente della Fondazione dell’Unione delle Camere penali italiane – offrirebbe l’opportunità -ai detrattori della riforma- di dire ai cittadini: vedete, dovete scegliere tra chi i delitti li contrasta, gli Avvocati, e chi, spesso, è sorpreso dai magistrati nel commetterli.
Perché è innegabile come ancora convenga, a più di una persona, fare avvertire l’avvocato come il difensore del delitto anziché del diritto. Occorre che la gente comprenda che il ruolo che la Costituzione assegna alla magistratura non è quello di potere ma di ordine giudiziario che applica la legge. Occorre far comprendere a chiunque, iniziando dai nostri cari, sì dalle nostre case, che quella Costituzione portata in alto dalla magistratura – in occasione delle recenti inaugurazioni giudiziari e – noi Avvocati la teniamo cucita sulle nostre toghe quando ci asteniamo dalle 4 attività giudiziarie, non per la tutela di nostre prerogative, ma per la tutela dei diritti delle persone.
L’auspicio è che la magistratura, successivamente alla riforma sulla separazione, quella Costituzione continui ad alzarla ancora più in alto e possa iniziare a scioperare in maniera ancor più rumorosa – ribellandosi, come fa l’avvocatura – ogni volta che le nostre carceri si macchiano di suicidi, ogni volta che viene leso il diritto delle parti a celebrare i processi nelle sedi naturali, ogni volta che un numero esiguo di magistrati componenti del Tribunale della libertà, come sovente è accaduto nel nostro distretto di Catanzaro in occasione dei maxiprocessi, debba decidere, in pochi giorni se non in poche ore come previsto dal codice, il destino giudiziario di centinaia di indagati per centinaia e migliaia di provvisorie incolpazioni e imputazioni.
*Presidente Camera Penale Cosenza