di Angelo Runco*

L’abolizione del reato d’ufficio è veramente il rimedio alla “paura della firma”? Alla luce del Disegno di Legge Nordio, approvato ieri dalla Camera dei deputati, si configura un’ importante modifica dell’attuale ordinamento giuridico. In particolar modo, quest’ultima vede l’abrogazione dell’abuso d’ufficio, perché come ribadito a più riprese dal Ministro di Giustizia risulta essere un reato utilizzato soltanto per intimidire i funzionari pubblici. Su circa 5 mila procedimenti pendenti ogni anno, le condanne si possono contare sulle dita di una mano.

A questa versione dei fatti si potrebbe controbattere semplicemente riprendendo le osservazioni che il magistrato Romanelli,  il quale ricorda che  nel nostro sistema penale una norma di contrasto all’abuso d’ufficio non è populismo giudiziario, ma risponde a delle precise esigenza: l’attuazione dei principi dello stato liberale di diritto e delle regole di fondo del sistema costituzionale. Detto in altri termini, ciò significa assicurare la garanzia della giurisdizione ai cittadini nei confronti del pubblico potere e dei suoi abusi. A ciò si aggiunge che l’Italia, facendo parte delle Nazioni unite è obbligata a sanzionare penalmente gli abusi nei pubblici uffici secondo la Convenzione di Merida del 31 ottobre 2003.

Questa convenzione internazionale richiede agli Stati membri di punire severamente gli atti intenzionali di abuso d’ufficio che portano a ingiusti vantaggi. Alleggerire la responsabilità dei dipendenti pubblici, per metterli nelle condizioni di avere meno remore nell’intraprendere azioni amministrative, paventa il rischio di un cambiamento nel concetto stesso di responsabilità nell’ambito amministrativo, spostandosi da un’ottica incentrata sulla diligenza e sulla gestione adeguata delle risorse pubbliche a una prospettiva più ampia che coinvolge il ruolo politico e fiduciario dei pubblici ufficiali. Se un pubblico ufficiale commette intenzionalmente un danno ingiusto o ottiene un vantaggio illegittimo violando norme chiare e senza margine di discrezionalità, è giusto che la risposta penale sia immediata e severa.

La paralisi del fare, che esiste e certamente va contrastata, è tuttavia maggiormente poco ascrivibile alla ritrosia dei dipendenti pubblici di firmare documenti, quanto piuttosto a fattori che sono lacune strutturali della Pubblica amministrazione. L’ipertrofia normativa, la tortuosità dei percorsi decisionali, l’impreparazione della dirigenza e il necessario ricambio generazionale sono piaghe che attanagliano da sempre la macchina amministrativa e ne imbrigliano l’efficiente funzionamento.

Come sostenuto anche dalle Istituzioni europee, l’abrogazione dell’abuso d’ufficio, tra le altre cose, depenalizza importanti forme di corruzione e potrebbe avere un impatto sull’effettiva individuazione e sul contrasto della corruzione. Da siffatto quadro emerge ancora di più come non si possano barattare alcuni dei capisaldi dello Stato di diritto in funzione di una maggiore “tranquillità” da parte dei dipendenti pubblici nell’apporre la propria firma, che in ossequio del ruolo che ricoprono devono farsi capo anche delle responsabilità che ne derivano.

*Segretario provinciale giovani democratici Lago