La Sirena continua a stregare con i suoi echi i naviganti che si trovano a incrociare la sua rotta. Carmen Consoli, ‘a padruna della scena, cumandera e generale, voce della Sicilia, del Sud, nel mondo, usa il palco come uno scoglio ventoso, una roccia vulcanica, imbraccia la chitarra e il pubblico non può che seguirla nell’incanto che solo lei riesce a creare.

In scena con Carmen Consoli, ieri sera, in una delle serate più attese del festival delle Invasioni di Cosenza, c’erano Gemino Calà ai flauti etnici, Valentina Ferraiuolo al tamburo a cornice e percussioni, Marco Siniscalco al basso e contrabbasso, Puccio Panettieri alla batteria, Adriano Murania al violino e chitarra acustica e Massimo Roccaforte alle chitarre e mandolino.

La cantautrice parla di Sicilia e Calabria, sorelle unite anche da un linguaggio che quasi sfuma uno nell’altra o. “Essere qui a Cosenza è scoprirsi come a casa” dice con un sorriso. “Noi ne abbiamo passate tante, siamo figli di terre che ci fanno partire e non ci fanno tornare” aggiunge prima dell’omaggio alla sua musa Rosa Balestrieri.

E parte da una “ciaramella”, simile alla calabra zampogna, il live, che attacca ai piedi del Rendano e porta lontanissimo. La Piccola Orchestra Popolare Siciliana della cantantessa, la accompagnerà anche nel tour mondiale al ritmo di “Terra ca nun senti”, la grande narrazione in musica dell’isola della Trinacria, vangelo secondo Carmen, che attraverserà l’Oceano fino a New York, Los Angeles, passando per Montreal.

Un sentiero che l’artista sta tracciando da vent’anni, che parte e ritorna nella sua terra e, nel frattempo, fa il giro del mondo in un anello che non ha inizio e neppure fine, come certi circoli fatati che imprigionano i viandanti dimentichi del tempo e dello spazio.

Carmen Consoli parla della “luce” che ha portato nella sua vita suo figlio Carlo e ricorda spesso, tra un brano e l’altro, la sua nonna Carmelina, originaria di Palmi, arrivata a Catania dalla Calabria, fuggendo dalle macerie del terremoto di Messina.

Il suo live è immersivo, un’esperienza anche linguistica oltre che musicale. Brani come “A curuna” e “Buttana di to’ ma” di Rosa Balistreri, “Pirati a Palermu” di Ignazio Buttitta e “Stranizza d’Amuri” di Battiato e poi “Amore di plastica”, “In Bianco e nero”, la portentosa “A finestra”, “Confusa e felice”, “Maria Catena”, sono le trame di un ordito ricamato riccamente, un arazzo che come era usanza antica, riportava nella seta le scene di battaglie e banchetti, vittorie e sconfitte, comunque storie di popolo che vale la pena raccontare, tramandare, cantare.