Se in un altro servizio abbiamo illustrato i temi investigativi che hanno portato la Dda di Catanzaro a ritenere che Bruno Bartolomeo facesse parte del gruppo Porcaro, attivo in particolar modo nel presunto narcotraffico, tra le carte dell’inchiesta Recovery è presente anche il capitolo dedicato al fatto che l’allora “reggente” del clan degli italiani di Cosenza, avesse deciso di estromettere il “sottogruppo Bartolomeo” dal proprio gruppo.

11 gennaio 2019, Caputo, Turboli e Porcaro

La circostanza viene fuori l’11 gennaio 2019, undici mesi prima degli arresti di “Testa di Serpente“. Antonio Caputo, riferiscono gli investigatori, entra a casa della madre e del fratello Giuseppe «al fine di avvertire quest’ultimo che «Roberto» (Porcaro, secondo la Dda) lo attendeva fuori casa». L’ipotesi investigativa era che Caputo, contattato da Danilo Turboli, era stato avvisato del fatto che il presunto boss dovesse dire qualcosa d’importante al resto della famiglia.

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Così, affermano gli inquirenti, Roberto Porcaro e Giuseppe Caputo si sarebbero appartati, mettendosi lontano da Antonio Caputo e Danilo Turboli. «Giuseppe Caputo parlava della grande disponibilità di denaro che aveva notato in capo a Roberto Porcaro al quale, in quell’occasione, aveva consegnato anche i proventi derivanti dall’attività di vigilanza» di un evento svoltosi a Rende. La frase chiave per gli investigatori è la seguente: «Mandagliela a Bruno e gli dici che il compare non esiste più». Si riferivano a una tuta da destinare in carcere a Bruno Bartolomeo. Evidentemente, ipotizzano le forze dell’ordine, Porcaro sarebbe venuto a conoscenza che Immacolata Erra “parlava troppo”. Il “reggente”, si legge nelle carte, avrebbe dunque ordinato alla donna «di far osservare un rigoroso silenzio nei colloqui in carcere con Bruno Bartolomeo perché ritenuti “attenzionati” dalle forze dell’ordine».