Negli oltre 200 capi d’accusa contenuti nell’ultima inchiesta coordinata dalla Dda di Catanzaro in provincia di Cosenza, emergono a più riprese i contatti tra Roberto Porcaro, ex boss di Cosenza e oggi collaboratore di giustizia, e Pietro Calabria, presunto capo società dell’omonima cosca operante a San Lucido e dintorni.

L’indagine “Affari di Famiglia“, così denominata dagli investigatori, ad oggi conta quattro collaboratori di giustizia, che dal 2014 al 2018, hanno riferito sul presunto prestigio criminale dei Calabria, nello specifico di Pietro, ritenuto il “delfino” di Francesco Patitucci. Per i pentiti Pietro Calabria sarebbe attivo in diverse attività illecite: dal traffico di droga alle estorsioni, senza dimenticare l’usura. Ed è proprio per questo reato che nel processo “Frontiera“, è stato condannato in via definitiva a cinque anni di carcere, mentre il fratello Giuseppe detto “Pino“, è stato assolto dai reati contestati in origine dall’ufficio di procura antimafia coordinato dal procuratore capo Nicola Gratteri.

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Dal punto di vista investigativo, i carabinieri della Compagnia di Paola, diretta dal capitano Marco Pedullà, hanno svolto un lavoro molto importante, non solo attraverso l’acquisizione delle dichiarazioni dei pentiti, ma anche tecnicamente, avviando un’attività intercettiva consistente che ha permesso di “ascoltare” in diretta le richieste di estorsioni, le cessioni di droga e tanto altro. In un caso, per l’appunto, i carabinieri, autorizzati dalla Dda di Catanzaro, hanno filmato due incontri tra Roberto Porcaro e Pietro Calabria, uno dei quali avvenuto il 31 marzo del 2019, ovvero nove mesi prima che scattasse l’operazione “Testa di Serpente”, l’indagine che ha messo un freno alle ambizioni criminali di Roberto Porcaro.

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Secondo quanto accertato dai militari dell’Arma, quel giorno nel piazzale antistante l’abitazione “Calabria-Tundis” sarebbe giunta un’Audi A3 di colore nero. Pochi istanti dopo Pietro Calabria sarebbe sceso di casa, facendo cenno al conducente dell’auto di avvicinarsi a lui. Parliamo di Roberto Porcaro, condannato a 20 anni di carcere per narcotraffico dal trinunale di Reggio Calabria. Nel caso di specie, Porcaro si sarebbe allontanato dalla propria autovettura, correndo a consegnare una busta di colore bianco a Pietro Calabria, il quale immediatamente l’avrebbe passata ad un’altra persona che si trovava all’interno di un’abitazione. A quel punto Roberto Porcaro avrebbe salutato e abbracciato Pietro Calabria, risalendo repentinamente sull’auto.

Un altro episodio analogo si sarebbe registrato l’8 dicembre del 2019, pochi giorni prima del blitz “Testa di Serpente”, allorquando Roberto Porcaro a bordo di un motociclo si sarebbe portato sul retro di uno stabile. E dalla veranda sarebbe uscito Pietro Calabria. Qui ci sarebbe stata la consegna di un’altra “busta bianca” e di uno zaino. Il gip di Catanzaro Giuseppe De Salvatore ha condiviso le argomentazioni esposte dalla Dda nella richiesta di misura cautelare, ritenendo sussistenti i gravi indizi di colpevolezza.