Nella presunta estorsione ai danni di un uomo di Cosenza, perpetrata secondo la Dda di Catanzaro dagli Abbruzzese e da Roberto Porcaro, Francesco Casella è risultato estraneo ai fatti contestati. Lo ha scritto nero su bianco la Corte d’Appello di Catanzaro nelle motivazioni della sentenza relative al processo “Testa di Serpente“, depositate di recente.

Secondo i giudici di secondo grado, l’istruttoria dibattimentale ha delineato un comportamento da parte di Casella che, nel suo aspetto materiale, può essere al massimo astrattamente ricondotto a un tentativo di intermediazione tra la vittima e gli autori dell’estorsione, volto a favorire il versamento del denaro richiesto.

La persona offesa, si legge nelle motivazioni, ha chiarito che Casella non proferì alcuna minaccia, neppure implicita, per arrivare a un accordo. Al contrario, ottenuto un rifiuto, si astenne dal riproporre la proposta. I giudici hanno inoltre evidenziato che non è stato possibile escludere con certezza che la proposta avanzata da Casella potesse essere dettata da intenti di solidarietà, tenuto conto dell’assenza di comportamenti intimidatori e dell’esistenza di un pregresso rapporto di amicizia con la persona offesa, sebbene non più coltivato.

Infine, la Corte ha rilevato che, considerate le modalità di svolgimento dell’incontro – caratterizzato da toni bonari e cordiali -, il contesto ambientale e soprattutto le dichiarazioni della vittima, non vi sono elementi sufficienti per configurare una condotta minacciosa, neppure in forma implicita.

In primo grado, Francesco Casella era stato condannato a 6 anni e 2 mesi di reclusione. L’imputato è difeso dagli avvocati Vincenzo Guglielmo Belvedere e Giuseppe Belcastro.