L’Osservatorio “Carcere, Diritti e Società” della Camera penale di Cosenza ribadisce il proprio impegno e adesione alle ragioni dell’astensione proclamata dall’Unione delle Camere Penali Italiane per il 10, 11 e 12 luglio 2024. È indispensabile che la società civile e le istituzioni rispondano con urgenza e concretezza alla situazione drammatica delle carceri italiane, per mettere fine a questa strage silenziosa e ridare dignità e speranza a chi si trova privato della libertà.

Pubblichiamo di seguito il documento letto dal presidente della Camera Penale di Cosenza, Roberto Le Pera prima dell’inizio della nuova udienza di Reset.

Il 20 marzo scorso, nelle aule di questo Tribunale, abbiamo alzato un grido di dolore: “di carcere non si può morire”. All’ingresso del Palazzo di Giustizia, il contatore dei suicidi segnava già 26. Questo numero, purtroppo, è solo aumentato nel corso dei mesi successivi.

Il 18 aprile, all’ingresso del Tribunale, con il monito “FERMIAMO LA STRAGE” e insieme ai Garanti regionale e provinciale dei detenuti, abbiamo elencato i nomi delle persone che si sono tolte la vita nelle carceri nel corso di quest’anno. Il macabro contatore installato nel Tribunale segnava 30 suicidi.

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Il 5 giugno, durante la maratona oratoria “PER DARE VOCE A CHI PIÙ DIRITTI NON HA”, abbiamo portato i nostri interventi fuori dal Tribunale, nella piazza centrale della nostra città, ai piedi del Municipio, insieme al nostro Garante regionale dei detenuti. In quel momento, il contatore segnava 38 suicidi. Nonostante i nostri sforzi per sensibilizzare la cittadinanza sulla tragedia del carcere, il silenzio assordante che ci ha circondato è stato straziante.

Ma dov’erano i cittadini in quell’occasione? Dov’erano le istituzioni?

Abbiamo visto e ascoltato solo il nostro sindaco avvocato, la presidente della Commissione Legalità dell’amministrazione di Cosenza e la presidente del nostro Consiglio dell’Ordine degli Avvocati (COA), che da sempre sono sensibili a queste tematiche. Forse perché i detenuti non interessano alla politica, perché i detenuti non portano voti. Ma diciamocelo francamente: quanti eravamo gli avvocati presenti?

Avvisi, moniti e preghiere sono stati rivolti dalla più alta carica dello Stato e dal Sommo Pontefice. Tuttavia, il Governo è rimasto sordo.

La triste conseguenza di questo disinteresse è che oggi, sono 54 le persone detenute che si sono uccise. Sì, uccise, perché questo carcere uccide. Perché questo carcere è pena di morte.

Non possiamo tacere sul personale della Polizia penitenziaria: sei agenti che non hanno resistito alla disperazione di questo carcere e hanno deciso di porre fine alla loro vita.

Signor Ministro, il Decreto “Carcere Sicuro” è una vuota, effimera soluzione. Anzi, è il nulla.
Signor Ministro, si tratta di rendere effettivo un articolo 27 della Costituzione che più non esiste. Anzi, diciamocelo francamente, è stato cancellato da tutta la politica, senza distinzioni.

Suicidi in carcere, cosa fare?

Sono necessarie sensibilità e cultura costituzionale. Ecco perché, forse, chiediamo troppo. Il carcere deve diventare protagonista non di tragedie, ma di nuova vita. L’assistenza sanitaria, l’istruzione, la formazione e l’affettività possono realmente influire sul recupero della persona privata della libertà e sul suo reinserimento sociale.

Quanta umanità c’è nelle nostre carceri?

Signor Ministro, lei parla di umanizzazione carceraria, ma non ci sono le minime condizioni di vivibilità. L’emergenza è ora. Bisogna agire.

Un ultimo pensiero

Alla magistratura di sorveglianza e comunque a tutti i magistrati: certezza della pena non è certezza del carcere. La pena è rieducazione. La pena è risocializzazione. La pena non è punizione.

Ricordiamocelo. E ricordatevelo quando deciderete il destino di un uomo. Perché di carcere, di questo carcere, si muore.