La Cassazione, con sentenza della prima sezione penale depositata nei giorni scorsi, ha annullato l’ordinanza con cui il Magistrato di sorveglianza di Spoleto aveva rigettato l’opposizione presentata da Mario Gatto, 55 anni, condannato in via definitiva per omicidio e associazione mafiosa, in merito alla richiesta di remissione di un debito erariale per oltre 45mila euro, accumulato come spese di giustizia.

Il provvedimento, che richiama un orientamento costante in materia di diritto penitenziario e trattamento dei detenuti indigenti, ribadisce che il giudice deve valutare concretamente le condizioni economiche e la condotta del condannato, e non può limitarsi a riferimenti generici o non motivati.

Mario Gatto, un debito di 45mila euro per spese processuali

Mario Gatto, detenuto dal 2014, aveva chiesto la remissione di un debito erariale di 45.496 euro, riferito a spese processuali maturate in relazione a procedimenti celebrati davanti al tribunale di Cosenza e alla Corte d’Appello di Catanzaro. Tali crediti erano stati trasfusi in una cartella esattoriale emessa dall’Agenzia delle Entrate di Pavia.

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A detta della difesa, Gatto si troverebbe in condizioni economiche estremamente difficili: percepisce solo 250 euro al mese per un lavoro saltuario svolto in carcere, somma da cui deve sottrarre 100 euro per il mantenimento dei familiari. Inoltre, le proprietà immobiliari menzionate dalla Guardia di Finanza nella relazione istruttoria sarebbero intestate esclusivamente alla sua convivente, ereditate da lei, e non immediatamente liquidabili. La donna, sottolineava il ricorso, non è sua moglie e non è dunque giuridicamente obbligata a rispondere delle obbligazioni del compagno.

Il rigetto del giudice di sorveglianza: “non è indigente”

Con ordinanza del 21 ottobre 2024, il Magistrato di sorveglianza di Spoleto aveva dichiarato inammissibile l’istanza di remissione del debito e rigettato l’opposizione del detenuto. Secondo il giudice, Gatto non avrebbe fornito prove sufficienti del proprio stato di indigenza, anche in considerazione del fatto che la compagna possiede immobili in una località turistica della provincia di Belluno e che, prima della detenzione, la coppia aveva percepito redditi da lavoro.

La Cassazione: «Mancata istruttoria, motivazione apparente»

I giudici di legittimità, sulla scorta della requisitoria del sostituto procuratore generale Roberto Aniello, hanno sottolineato che Le violazioni disciplinari addotte non sono state descritte in modo chiaro né supportate da elementi specifici. Al contrario, risulta che a Gatto sia stata regolarmente concessa la liberazione anticipata, circostanza che, in assenza di dettagli contrari, suggerirebbe una condotta almeno sufficientemente conforme alle regole carcerarie.

In tema di valutazione economica, la Cassazione ha evidenziato che il giudice ha attribuito rilievo ai redditi percepiti prima della detenzione, senza indicarne l’ammontare, né accertare se tali disponibilità siano ancora attuali. Inoltre, ha omesso di verificare se i beni immobili della compagna siano realmente utilizzabili per far fronte al debito, come richiesto dall’istruttoria prevista dall’art. 678 c.p.p.

Infine, la Suprema Corte ha ricordato che non grava in via esclusiva sull’interessato l’onere della prova del proprio stato di indigenza. Al contrario, il giudice ha il dovere di attivarsi autonomamente per acquisire le informazioni necessarie, richiamando al riguardo i principi affermati in precedenti sentenze: una del 2007 e una del 2014.