La Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso presentato da Antonio Francesco Caputo contro l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro, che confermava la misura cautelare carceraria per i reati di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e detenzione a fini di spaccio. La sentenza della Suprema Corte ha accolto parzialmente il ricorso, annullando l’ordinanza impugnata e rinviando per un nuovo esame. L’imputato è presente nell’operazione Recovery ed è difeso dagli avvocati Antonio Quintieri e Natale Occhiuto.

Le accuse ad Antonio Francesco Caputo

Il Tribunale di Catanzaro aveva ritenuto Antonio Francesco Caputo coinvolto in un sodalizio dedito al narcotraffico, ritenendolo membro di un gruppo affiliato all’organizzazione guidata da Roberto Porcaro. Secondo l’accusa, Caputo avrebbe avuto il ruolo di spacciatore stabile, con relazioni consolidate con i fornitori del sodalizio. Tuttavia, il difensore di Caputo ha contestato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, sottolineando la mancanza di prove concrete e il carattere congetturale delle accuse.

Cosa scrive la Cassazione su Antonio Francesco Caputo

La Cassazione ha evidenziato che il Tribunale di Catanzaro ha basato le sue conclusioni su presunzioni astratte e non supportate da elementi concreti. «Va rammentato preliminarmente il consolidato principio in tema di misure cautelari personali, secondo cui il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del tribunale del riesame […] consente al giudice di legittimità […] la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie».

In particolare, la Corte ha sottolineato che «il ragionamento seguito dal Tribunale assume la valenza di una presunzione astratta in assenza di elementi concreti che consentano di ricollegare il ricorrente all’associazione». La Cassazione ha ritenuto che la motivazione del Tribunale non abbia dimostrato adeguatamente la partecipazione stabile di Caputo al sodalizio criminale.

Elementi probatori insufficienti

La Corte ha esaminato gli elementi probatori presentati dal Tribunale, evidenziando le lacune nel ragionamento giuridico. Le dichiarazioni del collaboratore Francesco Greco descrivevano Caputo come uno spacciatore per conto di alcuni gruppi criminali, ma mancavano riscontri estrinseci sufficienti a corroborare tali affermazioni. Inoltre, «le captazioni […] restituiscono soltanto il dato che il ricorrente si riforniva da Porcaro ma non in via esclusiva». Questo elemento, secondo la Cassazione, non è sufficiente a dimostrare l’inserimento stabile e consapevole di Caputo nel programma criminoso del sodalizio.

La Corte ha ribadito che «la stabile disponibilità alla cessione di sostanze stupefacenti […] integra la partecipazione nel delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, sempre che si accerti che la condotta dell’agente sia posta in essere avvalendosi delle risorse dell’organizzazione e vi siano la coscienza e la volontà di farne parte». Nel caso di Caputo, tale accertamento è risultato insufficiente.

Ulteriori rilievi

La Cassazione ha anche rigettato le censure relative al bis in idem, sottolineando che il ricorrente non ha fornito prove sufficienti per dimostrare l’identità del fatto già giudicato con una precedente sentenza di patteggiamento. La Corte ha annullato l’ordinanza impugnata e rinviato il caso al Tribunale di Catanzaro per un nuovo esame.