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La Cassazione si è pronunciata sul ricorso presentato da Vincenzo Caputo contro l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro che confermava l’applicazione della misura cautelare carceraria in relazione a reati di associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico e detenzione di stupefacenti. La Suprema Corte ha accolto parzialmente il ricorso, annullando l’ordinanza impugnata e rinviando per un nuovo esame. Vincenzo Caputo, coinvolto in Recovery, è difeso dagli avvocati Antonio Quintieri e Natale Occhiuto.
Recovery, il riferimento al gruppo Porcaro
Secondo l’accusa, Vincenzo Caputo faceva parte di un sodalizio criminale dedito al traffico di sostanze stupefacenti nella provincia di Cosenza. Gli veniva contestata la partecipazione a un gruppo capeggiato da Roberto Porcaro e la responsabilità in episodi specifici di spaccio. Il Tribunale di Catanzaro aveva basato la sua decisione su dichiarazioni di collaboratori di giustizia e intercettazioni, sostenendo che «chi esercita l’attività di spaccio a Cosenza lo fa – e può farlo – solo perché partecipe di un sistema associativo».
La Cassazione su Vincenzo Caputo
La Cassazione ha sottolineato che il ragionamento del Tribunale si basa su presunzioni astratte e non supportate da prove concrete. «Il ragionamento seguito dal Tribunale assume infatti la valenza di una presunzione astratta in assenza di elementi concreti che consentano di ricollegare il ricorrente all’associazione». In particolare, «risulta del tutto congetturale […] che qualunque episodio di spaccio che si verifichi nel territorio della provincia di Cosenza debba per forza di cose essere sempre riferito all’organizzazione criminale». Motivazioni che ritroviamo anche per la posizione di Antonio Francesco Caputo.
Le dichiarazioni del collaboratore Francesco Greco, su cui si fondava gran parte dell’accusa, non erano state adeguatamente riscontrate. La Corte ha chiarito che «la valutazione della chiamata in reità o correità in sede cautelare richiede riscontri estrinseci individualizzanti, tali da assumere idoneità dimostrativa in ordine all’attribuzione del fatto-reato».
Analisi degli elementi probatori
Il Tribunale aveva considerato le intercettazioni come prova del coinvolgimento stabile di Caputo nel sodalizio, ma la Cassazione ha rilevato che queste evidenziavano solo rapporti di fornitura di stupefacenti, senza dimostrare un vincolo stabile e consapevole con l’organizzazione criminale. «Le captazioni, come descritte dal Tribunale, restituiscono soltanto il dato che il ricorrente si riforniva dal Porcaro, avendo con lui un debito da estinguere». La Corte ha quindi concluso che mancava la dimostrazione di un’adesione consapevole al programma criminoso del sodalizio.
Inoltre, la Cassazione ha ribadito che «la stabile disponibilità alla cessione di sostanze stupefacenti […] integra la partecipazione nel delitto di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, sempre che si accerti che la condotta dell’agente sia posta in essere avvalendosi delle risorse dell’organizzazione». Nel caso di Caputo, tale accertamento è risultato carente.
Nuovo Riesame
Il ricorso ha sollevato anche questioni relative a un presunto bis in idem, con riferimento a una precedente sentenza di patteggiamento nei confronti di un altro soggetto. La Cassazione ha annullato l’ordinanza impugnata limitatamente al capo 1) dell’imputazione e ha rinviato al Tribunale di Catanzaro per un nuovo esame.