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La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da Marco Lucanto, arrestato nell’ambito dell’inchiesta antimafia “Recovery“. La decisione conferma l’ordinanza emessa dal Tribunale di Catanzaro, che aveva disposto la custodia cautelare in carcere per l’imputato, accusato dalla Dda di Catanzaro di vari reati aggravati dalla mafiosità.
Le accuse e i motivi del ricorso
Lucanto era stato coinvolto nelle indagini che hanno colpito il presunto gruppo criminale denominato “Illuminato“, operante nel racket delle estorsioni e nel narcotraffico. La difesa aveva presentato ricorso contro la misura cautelare, sostenendo l’assenza di gravi indizi di colpevolezza e la carenza di motivazione nelle decisioni dei giudici del tribunale del Riesame di Catanzaro.
Tra i punti sollevati dalla difesa, vi era l’argomentazione secondo cui nella prima ordinanza cautelare dell’inchiesta “Reset” non erano stati rilevati indizi sufficienti contro Lucanto. Inoltre, veniva contestata la validità degli elementi probatori, tra cui alcune conversazioni telefoniche intercettate e presunti rapporti con membri del sodalizio mafioso.
Recovery, la decisione della Cassazione
La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso generico e privo di specificità, ribadendo che il Tribunale del Riesame di Catanzaro aveva motivato adeguatamente la permanenza della misura cautelare. Secondo i giudici, il quadro indiziario a carico di Lucanto si era rafforzato grazie a nuove evidenze emerse nelle indagini. In particolare, le conversazioni intercettate tra l’imputato e Antonio Illuminato, uno dei luogotenenti del capo dell’organizzazione, avevano evidenziato il presunto coinvolgimento diretto di Lucanto in attività estorsive e atti intimidatori nei confronti di commercianti locali.
Inoltre, sarebbe stato confermato il doppio ruolo di Lucanto all’interno del gruppo criminale: da un lato, presunto partecipe al controllo delle estorsioni, dall’altro attivo nell’organizzazione del traffico di droga. La Corte ha ribadito che, sulla base della giurisprudenza consolidata, le associazioni mafiose possono strutturare al loro interno sottogruppi dediti al narcotraffico, i quali mantengono una loro autonomia operativa pur rientrando nel più ampio disegno criminale dell’organizzazione.
Alla luce di queste considerazioni, la Cassazione ha respinto il ricorso, confermando la custodia cautelare per Lucanto.