La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato da Danilo Turboli, imputato nel procedimento penale “Recovery“, confermando così la misura della custodia cautelare in carcere disposta dal Tribunale di Catanzaro.

Le motivazioni del ricorso

Turboli aveva impugnato l’ordinanza cautelare sulla base di due principali motivi: da un lato, la presunta contraddittorietà della valutazione delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Ivan Barone, Francesco Greco e Francesco Noblea; dall’altro, la mancanza di attualità delle esigenze cautelari, considerando il tempo trascorso dalla commissione dei reati contestati e il periodo già trascorso in carcere.

Secondo la difesa, rappresentata dall’avvocato Antonio Quintieri, le dichiarazioni dei collaboratori sarebbero state utilizzate senza una valutazione approfondita della loro attendibilità, né supportate da riscontri esterni. Inoltre, il ricorrente sosteneva che le affermazioni di Barone evidenziassero una certa distanza tra Turboli e Roberto Porcaro, presunto fondatore del gruppo criminale di cui l’imputato sarebbe stato parte.

La posizione della Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto infondate le argomentazioni difensive, confermando la validità del quadro probatorio raccolto. I giudici hanno ribadito che la valutazione delle chiamate in correità deve seguire un criterio rigoroso, basato su una verifica incrociata dell’attendibilità dei dichiaranti e sulla presenza di riscontri concreti. In questo caso, il Tribunale ha esaminato le dichiarazioni dei collaboratori alla luce di tale criterio, giungendo alla conclusione che Turboli avesse un ruolo attivo all’interno dell’organizzazione.

In particolare, sarebbe stata evidenziata la partecipazione dell’imputato al gruppo criminale noto come “Porcaro”, attraverso le convergenti dichiarazioni di più collaboratori, tra cui Zaffonte. A sostegno di tale ricostruzione, sono state inoltre valorizzate le intercettazioni telefoniche e ambientali, che dimostrerebbero il coinvolgimento diretto di Turboli nella gestione di un’unità operativa dello spaccio, coordinando gli spacciatori.

Il ruolo di organizzatore e la pericolosità sociale

Dalle intercettazioni emergerebbe inoltre un profilo di leadership dell’imputato, testimoniato dalle conversazioni con i membri della sua squadra, con i quali avrebbe discusso strategie operative e pianificava futuri rifornimenti. Ulteriori elementi di prova deriverebbero dai colloqui avvenuti in carcere tra Turboli e la sua fidanzata, nei quali l’imputato avrebbe dato indicazioni sulla gestione dei proventi e sul pagamento delle spese legali degli associati.

Secondo la Cassazione, la qualificazione di Turboli come organizzatore è correttamente motivata, in linea con la giurisprudenza consolidata in materia di associazioni criminali finalizzate al traffico di droga. Anche la questione della sua presunta indipendenza nell’attività di spaccio non inciderebbe sulla valutazione complessiva della sua partecipazione al sodalizio.

La Cassazione ha respinto anche l’argomento relativo alla presunta perdita di attualità delle esigenze cautelari.