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L’aggravante dell’agevolazione mafiosa esce definitivamente di scena dal processo Valle dell’Esaro. Né la Dda di Catanzaro né la procura generale hanno impugnato l’assoluzione riguardo al secondo frammento investigativo della principale contestazione contenuta nel procedimento penale contro il presunto gruppo di narcotrafficanti di Roggiano Gravina.
Nel processo Valle dell’Esaro, com’è noto, sono imputati alcuni esponenti della famiglia Presta e altri soggetti che per la Dda di Catanzaro hanno favorito la sospetta attività illecita relativa al traffico di sostanze stupefacenti nei comuni di Roggiano Gravina, San Marco Argentano, Tarsia, Spezzano Albanese, Terranova da Sibari, San Lorenzo del Vallo e Castrovillari.
La mancata impugnazione è stata resa nota ieri pomeriggio dall’avvocato Lucio Esbardo nella parte finale dell’udienza di Reset, dove il gruppo Presta risponde di partecipazione alla confederazione mafiosa cosentina. Il penalista, chiedendo al presidente del collegio giudicante Carmen Ciarcia di prendere in considerazione il fatto di concedere i domiciliari a Giuseppe Presta, ha ripercorso la fase processuale di Valle dell’Esaro, sottolineando più volte che la decisione di escludere quel tipo di aggravante era stata presa da due terzi del collegio attuale di Reset.
Parlando della posizione di Presta, il legale Lucio Esbardo ha citato le motivazioni presenti nella sentenza di primo grado. I giudici di Valle dell’Esaro avevano scritto che «il compendio probatorio in atti» ha offerto «spunti, argomenti conducenti circa un’organizzazione criminale dedita ad attività illecite anche diverse da quelle concernenti il traffico di sostanze stupefacenti, e caratterizzata da elementi quali l’esistenza della cosiddetta “bacinella”, il pagamento di stipendi agli associati, il sostegno economico rivolto ai sodali in stato di detenzione e il pagamento delle spese legali in favore degli appartenenti, i rapporti con esponenti di altre associazioni criminali operanti sul territorio e il riconoscimento del ruolo di vertice rivestito da Franco Presta (attualmente detenuto in regime di 41 bis) prima del suo arresto».
Pertanto, «tali elementi non raggiungono il livello di prova, né quello indiziario, necessari ai fini del riconoscimento dell’aggravante in questione». il tribunale collegiale di Cosenza aveva evidenziato come l’istruttoria dibattimentale non avesse permesso di riconoscere gli elementi incontrovertibili a dimostrare tale accusa.
Elementi menzionati nelle motivazioni come «i singoli aderenti alla cosca di ‘ndrangheta e la coincidenza o meno con gli appartenenti all’associazione di cui al capo 1); i ruoli di ciascuno e i mezzi impiegati per il compimento delle attività criminali della cosca, la stessa individuazione di tali attività illecite, diverse da quelle concernenti la violazione della normativa in materia di sostanze stupefacenti; le concrete, eventuali, modalità di agevolazione, attraverso queste, della distinta “cosca di ‘ndrangheta” e la consapevolezza, in capo agli imputati, di tale indirizzo finalistico».
Tuttavia, la pubblica accusa ha impugnato la restante parte della sentenza, dove il tribunale di Cosenza aveva rivisto i ruoli dei condannati per narcotraffico, abbassando le pene rispetto a quelle invocate dal pubblico ministero Alessandro Riello. Il processo di secondo grado deve essere ancora fissato dalla Corte d’Appello di Catanzaro.