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L’incubo giudiziario dell’avvocato Paolo Pisani è terminato intorno alle 13.30 di ieri quando il presidente Fabiana Giacchetti, leggendo il dispositivo, ha saltato il suo nome. Così, nell’aula bunker di Castrovillari, sono partiti i primi abbracci e sorrisi verso il collega penalista che dal 2022 ad oggi ha passato mesi difficili.
Processo Reset, dal gip al Riesame
La sua vicenda si era sostanzialmente chiarita nel gennaio 2023 quando il Riesame di Catanzaro, aveva annullato la misura del divieto di esercizio della professione applicata dal gip Alfredo Ferraro nell’ambito della maxi inchiesta antimafia contro la ‘ndrangheta cosentina. In quella circostanza, i giudici del Tdl erano stati netti e chiari nell’affermare che l’avvocato Paolo Pisani non aveva in alcun modo minacciato l’ex assessore comunale di Rende, Vittorio Toscano, in un processo in cui l’amministratore era parte offesa contro Massimo D’Ambrosio, fratello di Adolfo, entrambi imputati nel processo Reset.
Secondo la Dda di Catanzaro, Paolo Pisani aveva usato minaccia, durante un incontro, nei confronti dell’ex assessore del comune di Rende, Vittorio Toscano, per costringerlo o comunque determinarlo – oltre che a rimettere la querela – a rilasciare una falsa testimonianza innanzi al tribunale di Cosenza, nell’ambito del processo contro Massimo D’Ambrosio, difeso nel procedimento penale proprio da Pisani. D’Ambrosio all’epoca era imputato per minaccia aggravata dal metodo mafioso.
Gli avvocati Cesare Badolato e Luca Acciardi, colleghi e amici del penalista, avevano invece fatto emergere un’altra verità. Che il presidente Giacchetti ha condiviso. I difensori avevano presentato documenti che attestavano in realtà che Vittorio Toscano, successivamente, provò a farsi difendere da Pisani in un altro procedimento.
«Deve evidenziarsi – scrivevano i giudici del Riesame di Catanzaro – che la misura cautelare interdittiva nei confronti di Pisani poggia sull’assunto che quest’ultimo avrebbe travalicato il mandato difensivo, non solo da un punto di vista ontologico, ma anche legale, ricorrendo alla strategia difensiva di concertare, mediante la forza intimidatoria mafiosa, le dichiarazioni rese in udienza dalla persona offesa, Vittorio Toscano, al fine di agevolare il suo assistito Massimo D’Ambrosio, nonché l’intero clan di appartenenza».
Processo Reset, quegli indizi carenti
Per il Riesame di Catanzaro, «appaiono carenti gli indizi su cui si fonda la tesi accusatoria prospettata dal gip. Infatti, le uniche prove poste a fondamento di questa ricostruzione sono il dialogo intercettato tra Montualdista e Massimo D’Ambrosio, durante il quale, nel commentare l’esito assolutorio del processo per minaccia a carico di D’Ambrosio, i due fanno riferimento alla ritrattazione di Toscano e poi al fatto che Pisani “aveva costretto ad andare anche loro”, senza però specificare dove e per quale motivo».
«Da questi scarni elementi dovrebbe desumersi che via stato un incontro con Toscano, voluto da Pisani, a cui hanno partecipato anche Montualdista e D’Ambrosio, al solo fine di esercitare una fonte carica intimidatoria sulla persona offesa e indurla, così, a rimettere la querela. Tuttavia, non ci sono ulteriori riscontri che provino che l’incontro captato si riferisca proprio a un incontro ad hoc per intimorire Toscano, né dove e quando sia avvenuto».
Il tribunale del Riesame, al contrario, sottolineava che «depongono in senso contrario il fatto che Pisani, tramite raccomandata con ricevuta di ritorno del 5 febbraio 2018, abbia proposto a Toscano, per conto del suo cliente, un risarcimento danni e che Toscano abbia risposto il 14 febbraio 2018 tramite pec, manifestando la volontà di rimettere la querela in cambio di una lettera di scuse e di ammissione di colpa da parte di D’Ambrosio, lettera che effettivamente c’è stata e alla quale è poi seguita la remissione di querela», avvenuta il 13 aprile 2018.
Inoltre, «il fatto che Montualdista fosse l’interlocutore principale di Pisani, non può di per sé solo giustificare l’adesione dell’indagato a logiche gerarchiche mafiose e quindi fondare un giudizio di colpevolezza per l’agevolazione del clan, ben potendo il ruolo di intermediario di Montualdista spiegarsi in ragione della lunga “amicizia” che c’è con Pisani».
Le motivazioni
Infine, «questo collegio ritiene di condividere» la considerazione mossa dalla difesa di Paolo Pisani, ovvero che «Toscano si è rivolto a Pisani, in data 20 giugno 2020, per alcuni servigi legali, e tale comportamento risulta quantomeno incompatibile con l’accusa secondo cui Pisani sarebbe stato complice dell’atto intimidatorio e delle minacce nei confronti di Toscano. Infatti, a parere del collegio, tale elemento collide del tutto con la condizione di assoggettamento della vittima delineatasi in occasione dei reati contestati all’indagato».
In definitiva, il tribunale del Riesame di Catanzaro, riteneva che «gli elementi posti alla base della misura cautelare interdittiva non appaiono univocamente volti ad affermare la gravità indiziaria, ben potendo essere letti ed interpretati in senso contrario».