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La requisitoria della Dda di Catanzaro, condotta dai pubblici ministeri Vito Valerio e Corrado Cubellotti, ha messo in luce le gravi accuse contro i membri della presunta confederazione mafiosa che ha operato tra Cosenza, Rende e Roggiano Gravina. Durante la lunga e dettagliata esposizione, i pm hanno richiesto condanne severe per la maggior parte degli imputati, alcuni dei quali rispondono di associazione mafiosa, narcotraffico, usura, estorsione, intestazione fittizia di beni e gioco d’azzardo.
Al centro della requisitoria c’è la cosca degli “zingari” di via Popilia, che, secondo gli inquirenti, ha avuto il controllo di numerosi affari illeciti, tra cui il narcotraffico e le estorsioni, con il coinvolgimento di membri del clan degli italiani. La Dda ha evidenziato come l’associazione mafiosa fosse armata e finanziata con il prodotto di delitti, utilizzando risorse derivanti da attività criminali per il reinvestimento nei settori del gaming, della security e delle intestazioni fittizie di beni.
Il pubblico ministero ha sottolineato che le pene richieste sono dettate dalla gravità del reato contestato. La Dda ha fatto riferimento all’articolo 416 bis del codice penale, che prevede pene da 12 a 20 anni di reclusione per i partecipi e da 15 a 26 anni per i promotori. In particolare, la giurisprudenza più recente ha confermato che la regola dell’articolo 63, quarto comma, del codice penale non si applica in questi casi, poiché la legge prevede una disciplina speciale per i crimini legati alla ‘ndrangheta.
La richiesta di pene: un’analisi della condanna
L’analisi del pm ha dettagliato il trattamento sanzionatorio previsto per i vari reati, con l’intento di dare una risposta severa a un sistema di potere mafioso che ha inciso profondamente sul territorio. La pena per i partecipi alla confederazione mafiosa può variare tra 16 e 30 anni di reclusione, mentre i promotori rischia di arrivare tra i 20 e i 30 anni.
Inoltre, per alcuni capi di imputazione, come quelli relativi all’accordo politico-mafioso a Rende, il pm ha messo in evidenza l’applicazione della legge che, nel caso di scambio elettorale, prevede pene che vanno da sei a dodici anni di reclusione. Il pubblico ministero ha anche sottolineato che, in assenza dell’aggravante prevista per il risultato elettorale positivo, la pena rientra nella cornice di reato prevista dalla legge 62/2014, modificata nel 2017.
Processo Reset, l’obiettivo? È la condanna dei vertici mafiosi
La Dda ritiene di aver lavorato scrupolosamente per dimostrare l’esistenza di una rete ben strutturata di affari illeciti e di estorsioni, alimentata dalla violenza e dalle intimidazioni, e ha espresso chiaramente l’intento di far luce sulle modalità con cui la cosca degli “zingari” di via Popilia gestiva i suoi affari, coinvolgendo diversi membri della comunità locale e rendendo difficoltose le indagini per la mancanza di collaborazione da parte di testimoni definiti reticenti e omertosi.
Nel processo Reset, la requisitoria della Dda si è focalizzata sul perseguire la confederazione mafiosa con il massimo delle pene. La conclusione della requisitoria ha portato alla richiesta di pene severe, destinate a coloro che hanno contribuito a perpetuare un sistema mafioso capace di piegare interi settori dell’economia e della vita sociale nella regione.
In abbreviato, si sono registrate più condanne che assoluzioni ma quest’ultime sono arrivate in maniera consistente rispetto a quelle prospettate dalla Dda. Staremo a vedere in ordinario.