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Il capitolo del “Gaming” è l’unico filone investigativo che non ha retto in Cassazione. Dalla Suprema Corte infatti sono usciti provvedimenti cautelari che hanno senz’altro rafforzato l’ipotesi accusatoria della Dda di Catanzaro, evidenziando come il settore del gioco d’azzardo e delle scommesse online non fosse stato adeguatamente scandagliato dalle forze dell’ordine. I gravi indizi di colpevolezza sono venuti meno per tante posizioni. Quelle più eclatanti sono senza dubbio riferite a Francesco De Cicco, assessore comunale di Cosenza, e Damiano Carelli, imprenditore di Corigliano Rossano, nonché figlio del defunto boss Santo, su cui gli ermellini hanno espresso un verdetto chiaro poi valorizzato dal tribunale di Riesame con l’immediata scarcerazione.
Il teorema del Gaming è sostanzialmente uno: la ‘ndrangheta cosentina imponeva ai vari esercizi commerciali le macchinette delle società vicine al clan degli italiani, in alcuni casi modificandole per frodare il fisco italiano. Alla base di tutto ci sarebbe stata un’associazione a delinquere. Ma ad oggi questa ipotesi è fortemente traballante.
“Gaming” a Cosenza, parla il pentito Roberto Porcaro
Sentito dalla Dda di Catanzaro, neanche il pentito Roberto Porcaro, ex “reggente” della cosca “Lanzino” di Cosenza è riuscito a chiarire alcune dinamiche. «Per come mi chiedete siccome non mi sono mai interessato di fatto del modo in cui venisse condotta la cosiddetta attività di gaming non so dire se le macchine da gioco utilizzate da Chiaradia e Mario Gervasi fossero alterate o comunque modificate nel loro funzionamento».
Il collaboratore aggiunge che «non conosco personalmente Andrea Reda ma lo conosco di vista. So che si occupa di giochi e scommesse e che aveva una sala giochi nei pressi dello stadio denominata “Rossoblù giochi”. Andrea Reda so che era un soggetto che spesso per questioni di affari si recava fuori Cosenza. Pur non avendo avuto rapporti diretti con i Reda, posso riferire che Francesco Reda, Paolo Reda e Andrea Reda in generale erano attivi nel settore gaming» dichiara Porcaro, il quale afferma che Francesco Reda «aveva un esercizio commerciale in cui erano installate macchinette da gioco, adibito anche ad ufficio, ubicato dietro le cupole su un tratto di strada che congiunge Cosenza e Rende».
Porcaro tratteggia anche la figura di Francesco Reda, indicandolo come vittima dell’associazione mafiosa in quanto «pagava 4mila euro all’anno di estorsione al nostro gruppo criminale. Sono a conoscenza di questa circostanza anche perché nel 2018 mi sono recato personalmente nel periodo di Natale presso Reda per riscuotere il denaro».