Il pentito che parla dell’altro pentito. Tra le persone conosciute da Roberto Porcaro c’è anche il collaboratore di giustizia Ivan Barone, soggetto intraneo al clan degli “zingari” di Cosenza. Barone, com’è noto, ha “saltato il fosso“, passando dalla parte giusta, pochi giorni dopo il blitz antimafia coordinato dalla Dda di Catanzaro. A distanza di circa nove mesi, lo ha seguito anche l’ex “reggente” della cosca degli italiani, creando scompiglio e preoccupazione all’interno della criminalità organizzata cosentina.

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In uno dei primi verbali resi alla Dda di Catanzaro, il pentito Roberto Porcaro ha affrontato anche la posizione di Ivan Barone. Parliamo, dice il collaboratore, di un uomo «appartenente al gruppo degli zingari ed ho avuto con lo stesso sporadici contatti. Una volta, all’incirca nel 2018, mi ha chiesto 50 grammi di cocaina con una trattativa che non si è conclusa. Successivamente nel 2019» prima che i magistrati antimafia decidessero di eseguire i fermi di “Testa di Serpente“, “abbiamo effettuato un danneggiamento a scopo estorsivo ai danni” di un imprenditore nel settore dell’autodemolizione a Bisignano.

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Secondo il racconto di Porcaro, l’azione delittuosa «ci era stata proposta da Fiore Bevilacqua detto “Mano Mozza” e dal figlio Nicola che è residente a Bisignano dopo un paio di tentativi con bottigliette icendiarie poste presso l’autodemolizione, che non hanno sortito l’interessamento della persona offesa presso la criminalità organizzata». L’ex boss di Cosenza, inoltre, ddice di aver provveduto «a sparare alla macchina dell’imprenditore parcheggiata nel piazzale interno della villetta. Preciso che la pistola, verosimilmente una semi-automatica, era stata procurata da Luigi Abbruzzese e consegnata da Ivan Barone e Danilo Turboli che erano stati incaricati di sparare» dichiara Porcaro. «Giunti sul posto però hanno avuto delle incertezze e per questo sono intervenuto direttamente io».

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In realtà, Porcaro scopre a distanza di qualche giorno che «l’imprenditore si è rivolto a Mano Mozza dicendo che in realtà pagava l’estorsione a Rocco Pancione e Manzo detto “Stippamerda”, rispettivamente fratello e cognato di Tonino Strusciatappine e quindi per conto di quest’ultimo». A questo punto Porcaro avrebbe convocato «l’imprenditore sotto casa di Mano Mozza (dove questi ha un magazzino) e indipendente dell’asserita protezione di Strusciatappine, gli ho imposto di versare 100mila euro a titolo estorsivo con la minaccia di fargli chiudere l’attività» aggiunge il neo pentito.

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La vicenda, a dire di Porcaro, si sarebbe conclusa con «Manzo e Rocco Pancione» che si sarebbero presentati «da Fiore Mano Mozza alla presenza di Luigi Abbruzzese per riferire che questo imprenditore era effettivamente “a posto” con loro e per questo alla fine non abbiamo proseguito con le richieste estorsive. Collego a questo chiarimento l’intercettazione che viene invece negli atti di “Reset” viene riferita alla vicenda al capo 55, ovvero l’estorsione ai danni» di un ristorante di Zumpano «di cui non ho conoscenza».