Edoardo Capizzano e Pierluigi Berardi, ovvero i ragazzi della Cep di Rende. In un’altra vita, sono una delle coppie più affiatate e pericolose del crimine organizzato cosentino, aggregati entrambi al gruppo di Villaggio Europa insieme ad altri ventenni come Gianfranco Bruni e Aldo Mario Mazzei. Come i loro coetanei della Massa o quelli di Andreotta, I “bravi ragazzi” della Cep di Rende altro non sono che una delle tante succursali del clan Pino, alle dirette dipendenze di Umile Arturi; ragazzi giovani, per lo più incensurati, da lanciare poi a capofitto nella guerra di mafia, allora nel pieno del suo svolgimento.

In questo contesto, Capizzano e Berardi sono tra coloro i quali spiccano per intraprendenza. A maggio dell’82, il primo attenta alla vita di Franco Garofalo. Di questo, almeno, ne è convinto il diretto interessato che, non a caso, un anno dopo gli rende pan per focaccia e partecipa all’agguato contro di lui. Nello stesso periodo, poi, Capizzano si rende protagonista di un’azione ancora più spericolata. Un giorno d’estate, a San Lucido, ruba l’auto di Tonino Paese, il proprietario del bar Oasi di corso Mazzini, a quei tempi affiliato del clan Perna. Si tratta di un affronto in piena regola. Il bandito Capizzano lo fa scendere dall’abitacolo e, prima di filarsela, saluta così: «E mo’ te ne vai a piedi». Per questo e altro, un brutto giorno si stabilisce di farlo fuori.

In macchina con lui, il 12 agosto del 1983, c’è anche l’inseparabile Berardi, formidabile rapinatore e lesto di pistola. Talmente veloce che quando l’auto dei killer si affianca alla Fiat 124 di Capizzano, capisce al volo la situazione e riesce a sparare per primo. Inutilmente, però. Dall’altra parte, infatti, ci sono Giuseppe Vitelli che imbraccia un fucile con Nicola Belmonte e Garofalo armati di P38. Quest’ultimo scende per dare il colpo di grazia a un Capizzano mezzo morto, non sapendo che acquattato sotto il sedile c’è un Berardi pronto a vendere cara la pelle. Come racconterà lui stesso anni dopo, sente i passi dell’assassino sempre più vicini, ma poi il suono delle sirene interrompe il conto alla rovescia. E mette in fuga il commando. Berardi è vivo e vegeto, ma una metà di Capizzano muore quel giorno.

Pochi anni dopo, a seguito del blitz De Rose, Ciciariaddru decide di collaborare. Confessa una serie di rapine, ma non l’unico omicidio che lo riguarda da vicino, quello di Costabile. Quando esce dal carcere, Vincenzo Dedato si stupisce di vederlo circolare liberamente. Per lui è «un infame», ma poi gli spiegano come stanno davvero le cose: «Ha confessato solo le rapine, ma non ha detto niente sull’omicidio. Per questo lo lasciano campare». Anche durante il processo Garden, parlando dell’agguato subito da lui e Capizzano, dirà che si trattava di questioni private, di «una fujitina non perdonata». Poi, nel 2008, stremato dalla fame e dal dolore, si pente per davvero e alla legge racconta la sua verità.