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Minacciare un avvocato con espressioni del tipo «ti brucio la macchina» o peggio ancora «ti accoltello», può essere consentito a un uomo d’ambiente, ma non a un comune cittadino. Quando apprende che un episodio del genere si è consumato a Cariati, Giorgio Greco s’indigna: per come la vede lui, quello è il mondo al contrario.
È uno degli episodi più curiosi immortalati dall’inchiesta “Boreas” e si verifica il 18 giugno del 2020, giorno in cui le teorie del generale Vannacci trovano applicazione in ambito criminale nella cittadina del Basso Jonio cosentino. Il boss apprende che un certo “Carlino” ha utilizzato quel linguaggio per atterrire un professionista del posto e le intercettazioni dei carabinieri documentano tutto il suo sconcerto del momento: «Ma come si permette?», tuona Greco, rivolgendosi idealmente al – da lui – non ancora identificato Carlino.
«Adesso tu accendi la macchina? Compà, e noi che ci stiamo a fare qua? Eh, compà non l’ho capito. Noi guardiamo? Allora voi fate i mafiosi e noi andiamo a lavorare». È l’esclusiva del terrore. E lui la rivendica per sé e per quelli come lui. Parte da un paradosso con intenti canzonatori, ma la riflessione si fa via via più seria. Anche più amara.
Greco pare immaginarselo davvero un “Mondo al contrario” in cui i guappi che si atteggiano a mafiosi si assumano anche gli oneri terribili che toccano ai mafiosi veri. «E ve la vedete voi con gli “amici” quando vi dovete mettere a disposizione» è uno dei prezzi da pagare; l’altro, va da sé, è la destinazione obbligata che, alla fine della corsa, un vero mafioso sa di dover raggiungere: «Ci sono nostri fratelli che hanno preso l’ergastolo…».
Divagazioni che lo tengono impegnato per un po’, prima di virare nuovamente sul tema del giorno: identificare Carlino e poi castigarlo a dovere. La parola magica è «stroppiare», che in dialetto locale equivale a «pestare a sangue». È questo il destino che attende l’improbabile mafioso di Cariati, ma solo in extrema ratio. «Ora lo acchiappiamo e se si comporta bene, non lo picchiamo» ragiona Greco, ritenendo che il reprobo, consapevole di avere a che fare con gente al di fuori della sua portata, incasserà il rimprovero senza fiatare. E in caso contrario, «lo stroppiamo».
Per la Dda, l’episodio in questione vale una pillola di cultura da antistato. Non solo perché la segnalazione delle minacce arrecate all’avvocato, arrivi a Greco da «un cittadino estraneo ai contesti criminali», ma soprattutto perché la reazione del boss è quella di chi, dall’alto della sua posizione oscura, si arroga «la competenza di salvaguardare l’ordine pubblico nel proprio territorio».