La vicenda giudiziaria che riguarda Nicola Adamo, ex consigliere regionale e braccio destro di Mario Oliverio, risulta lacunosa in alcuni passaggi chiave. L’ex segretario dei Ds calabresi è indagato per il reato di traffico di influenze insieme al suo amico, ed ex consigliere regionale, Pietro Giamborino (a sua volta accusato di essere intraneo alla cosca di Piscopio). L’attività investigativa posta in essere dai carabinieri, con il coordinamento della Dda di Catanzaro, arriva fino al Tar della Calabria. Alla base delle contestazioni mosse sia a Giamborino sia ad Adamo ci sarebbe una sentenza amministrativa relativa a un’aggiudicazione di gara d’appalto della provincia di Vibo Valentia. Gara pubblica che il Consorzio rappresentato da Giuseppe Capizzi, imprenditore siciliano, aveva perso posizionandosi secondo in graduatoria con un punteggio di 91,71 contro i 93,30 del Consorzio aggiudicatore. 

L’incontro tra Giamborino e Adamo ad Altilia-Grimaldi

Capizzi, secondo quanto emerge dalle indagini, chiede aiuto a Giamborino il quale sarebbe dovuto intervenire al Tar della Calabria per pilotare una sentenza. Per fare ciò, l’ex consigliere regionale contatta Nicola Adamo per individuare un nome da corrompere: esce quello di un noto giudice amministrativo (che non è indagato). L’incontro avviene il 3 aprile 2018, quando Pietro prospetta a Nicola la necessità di intervenire presso il tribunale amministrativo della Calabria. Il primo passaggio incriminato arriva nel corso della conversazione captata dagli investigatori, allorquando Nicola Adamo dice «andiamo e parliamo» facendo il nome del giudice. Due giorni più tardi, Giamborino incontra Adamo presso lo svincolo autostradale di Altilia-Grimaldi. 

L’intercettazione e la somma di denaro contestata

Nell’intercettazione ascoltata dai magistrati della Dda di Catanzaro, Adamo afferma di aver chiamato al giudice, mentre Giamborino spiega nel dettaglio qual è la situazione. Parlando della commissione pubblica, i due concordano come il Tar possa chiedere alla Regione di nominare una commissione pubblica. La “mazzetta” di 50mila euro – che in realtà non è così esplicita come gli inquirenti vogliono far credere – esce da questa conversazione tra Adamo e Giamborino.

«Il TAR ..inc.. il TAR ..inc.. possono essere o dell’università o della Regione … da nominare con apposita ordinanza al fine di ..inc… cioè addirittura il TAR fa un’altra ordinanza per quella commissione, quindi il TAR … gli si dovrebbero dire i nomi.., da nominare. Che gara è? Che oggetto ha come ..inc.. GIAMBORINO Pietro: lavori pubblici…..inc.., ecco perché gli ho detto ieri cinquanta mila euro ..inc.., ..inc.. ma qua già…inc.. non vanno… ADAMO Nicola: là però ..inc.. ne dobbiamo parlare ..inc.. la società». Adamo, però, spiega a Giamborino che il giudice si trova a Roma e tornerà in Calabria martedì sera. Il giorno successivo Nicola dice che lo incontrerà, ma nelle carte dell’inchiesta non c’è prova di questa ulteriore telefonata o di una riunione “segreta” tra i due.

Come eludere le indagini della magistratura

L’altro passaggio delicato della faccenda giudiziaria è il sistema adottato da Capizzi per evitare di essere intercettato, temendo di esserlo in quanto sperava di aver ragione al Tar della Calabria in modo illecito. Un attimo prima di affrontare questo tema, balza agli occhi la spavalderia di Giamborino nell’affermare – senza avere le prove – che il giudice «è il Tar, il Tar è lui» facendo riferimento al fatto che il togato in questione avesse in dote un potere assoluto di condizionare le sentenze. Questo avviene l’8 aprile. Due giorni dopo invece Giamborino contatta un altro amico politico, attuale docente del Dipartimento di Difesa del Suolo dell’Università della Calabria. Quest’ultimo avrebbe fatto intendere di poter indirizzare la commissione tecnica anche senza farne parte.

La parte dell’elusione delle attività investigative porta i magistrati a raddrizzare le antenne, quando Capizzi suggerisce a Giamborino di non inviare alcun file o di parlare al telefono. «Se ti vogliono ingabbiare, 24 ore sei in gabbia». La soluzione trovata per comunicare è molto semplice: lasciare in “bozze” il testo della mail usando lo stesso indirizzo di posta elettronica. «E’ lo strumento che utilizzo» dichiara Capizzi. A questo punto, entra mi gioco l’imprenditore di Piscopio, Giuseppe D’Amico, ritenuto vicino a un clan vibonese. D’Amico sarebbe stato d’accordo con Capizzi. Il primo avrebbe dovuto avere un ruolo attivo nell’aggiudicazione dei lavori pubblici a Piscopio.  

La sentenza del Tar Calabria

Finito di esplorare il compendio investigativo, entriamo nel merito della vicenda amministrativa. La sentenza definitiva del Tar della Calabria arriva il 7 ottobre del 2019, quando la prima sezione dà ragione all’amministrazione provinciale di Vibo Valentia e al Consorzio Stabile Coseam S.p.a., avverso il ricorso presentato dal Consorzio Stabile Progettisti Costruttori. Capizzi dunque esce sconfitto dalla battaglia legale.

Il giudice a cui fanno riferimento Giamborino e Adamo non si è mai pronunciato sulla gara per l’aggiudicazione dei lavori di messa in sicurezza dei versanti Affaccio-Cancello Rosso-Piscopio-Triparni ex tracciato Ferrovie Calabro Lucane e Longobardi nel Comune di Vibo Valentia. Non risultano, infine, altri incontri per la presunta dazione di denaro da consegnare alle parti interessate e il ruolo di Adamo sembra quello di chi millanta di poter fare qualcosa. Lo scontro giudiziale – come abbiamo visto – è finito in un altro modo. In attesa della sentenza del Consiglio di Stato.