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Il contesto criminale in provincia di Cosenza è abbastanza delineato. Ci sono ancora zone “grigie” su cui indaga la Dda di Catanzaro, mentre in altre aree la situazione è chiara. La ‘ndrangheta cosentina nel corso degli anni ha avuto un mutamento su vari fronti.
Sappiamo che nel territorio della Piana di Sibari i clan Abbruzzese e Forastefano, un tempo nemici, oggi sono di nuovo alleati. Almeno così dicono gli investigatori. Sappiamo anche che nell’area urbana di Cosenza, fino al 31 agosto 2022, data del blitz di “Reset“, le due consorterie – gli italiani e gli “zingari” – si sarebbero unite in una confederazione che comprende, a dire dei pm antimafia, ben sette sottogruppi. E infine, sappiamo che tra San Lucido e Paola i carabinieri ritengono che dal 2018 in poi sul Tirreno sarebbe stata attiva un’associazione mafiosa “Calabria-Tundis“, coinvolta anche nel traffico di sostanze stupefacenti.
In relazione all’ultimo capitolo investigativo, la Dda di Catanzaro, nella chiusura indagini ha rendicontato le presunte attività estorsive addebitate a Pietro Calabria, ritenuto il boss della presunta cosca, nonché soggetto legato a Francesco Patitucci, Roberto Porcaro e Michele Di Puppo. Tre esponenti di spicco della cosca degli “italiani”. Nella prima fase del pentimento, “Te Piasse“, ovvero Porcaro, aveva parlato di queste dinamiche prima di trattare tutto. Le sue dichiarazioni sono comunque agli atti del fascicolo e potrebbero essere utilizzate nell’eventuale processo abbreviato, non nel rito ordinario.
I carabinieri della Compagnia di Paola, hanno avviato un’attività investigativa corposa e complessa nei confronti di questi imputati, ma non sempre sono riusciti ad individuare i responsabili degli innumerevoli atti intimidatori avvenuti nel tempo sulla costa tirrenica cosentina, soprattutto da San Lucido in giu.
In un caso si parla di un uomo di Fiumefreddo Bruzio, vittima dell’incendio di un autocarro e proprietario di una ditta individuale che opera nel settore edilizio. I pompieri avevano escluso il corto circuito desumendo la verosimile dolosità del gesto. Sempre a Fiumefreddo Bruzio, un carabiniere non in servizio notò che all’interno di un’autorimessa alcuni mezzi erano andati a fuoco: ben nove veicoli, tutti ormai dimessi e parcheggiati lì in attesa della loro demolizione. Ma fu esclusa la pista estorsiva. Ancora a Fiumefreddo Bruzio, anno 2018, ignoti avevano fatto esplodere un ordigno rudimentale, tipo bomba carta, ai danni di un bar. I militari dell’Arma, grazie alle telecamere di videosorveglianza, erano stati in grado soltanto di vedere due soggetti intenti a compiere l’atto intimidatorio, senza poter acquisire ulteriori elementi utili alle indagini.
E ci spostiamo a Longobardi, dove ad inizio 2018, un pescatore aveva denunciato la parziale distruzione della cabina della propria assicurazione, senza dimenticare, qualche mese dopo, la lettera anonima ricevuta da un pensionato, che in seguito aveva subito anche il danneggiamento dell’auto. Altro fatto inserito nel dossier di “Affari di Famiglia” è quello relativo al danneggiamento a mezzo incendio di una saracinesca che regolava l’accesso a un garage di proprietà di un imprenditore.
Inoltre, nel mese di ottobre del 2018, sul cantiere di una scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di secondo grado, veniva rinvenuta in un sacchetto una bottiglia trasparente contenente liquido di colore arancione verosimilmente di tipo benzina, la quale era legata alla colonnina di fine corsa del cancello d’ingresso dell’istituto scolastico. Sentito il titolare della ditta che stava effettuando i lavori di adeguamento sismico (e non solo), lo stesso aveva riferito di non aver ricevuto richieste estorsive, o di qualsiasi altra natura.
Nell’estate del 2018, però, una fonte confidenziale rivela ai carabinieri che Pietro Calabria avrebbe chiesto un “regalo” di 3-4mila euro «per gli amici di Cosenza» che «avevamo bisogno». La parte offesa veniva individuata in un imprenditore che in quel momento aveva attivi due cantieri, uno a Paola e l’altro nei pressi del campus universitario di Rende.
In “Affari di Famiglia”, tuttavia, risultano presunte estorsioni ai danni di imprenditori noti e meno noti. Ciò a dimostrare, secondo la Dda di Catanzaro, la capacità dei gruppi criminali di riferimento nel voler controllare il territorio, imponendo il “pizzo“.