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La storia della ‘ndrangheta raccontata da chi l’ha vissuta. Tra questi personaggi che passeranno alla storia, in senso negativo, c’è anche Franco Pino. Un boss d’altri tempi, temuto e rispettato in tutta la Calabria (e oltre i confini regionali) che comandava la città di Cosenza. Oggi, dopo il pentimento del 1995, è un collaboratore di giustizia che continua a riempire fogli A4 di word, rispondendo alle domande dei magistrati antimafia. Anche le sue propalazioni sono entrate nell’operazione “Rinascita Scott” che ha colpito le cosche vibonesi. Un’indagine firmata dalla Dda di Catanzaro che mira ad accertare la presenza del clan Mancuso di Limbadi nelle trame oscure della vita di tutti i giorni. Franco Pino conosceva la caratura criminale di Luigi Mancuso, ma era vicino ai Piromalli. Da qui parte per spiegare come funzionava ai suoi tempi la ‘ndrangheta.
Il “salto di qualità” di Franco Pino
Il 26 giugno del 2018 Franco Pino viene interrogato dai magistrati coordinati dal procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri che cercano di mettere insieme gli elementi indiziari a carico dei Mancuso. L’ex boss di Cosenza racconta la sua storia criminale, partendo dal 1970. «Facevo parte dì un gruppo criminale all’epoca non tipicamente ‘ndranghetistico e più che altro dedito ad estorsioni, rapine, contrabbando dì sigarette sul territorio di Cosenza. Questo gruppo faceva riferimento alla figura di Antonio Sena. Dal 1970 al 1977 questo gruppo ha vissuto alterne vicende criminali, a volte essendo più vicino alla figura di Luigi Palermo inteso “Zorro ”, altre volte allontanandosene. Questo fino a quello che io definisco un salto di qualità criminale, avvenuto nel 1977» con l’omicidio nel mese di dicembre dello “Zorro”, commesso davanti al cinema Garden di Rende.
La guerra di mafia a Cosenza
Le dichiarazioni di Franco Pino proseguono fino al momento in cui a Cosenza scoppia la guerra di mafia. Morti eccellenti e coprifuoco la facevano da padrone. «In quel periodo sono stato anche coinvolto in vicende omicidiarìe con i Piromalli anche al nord Italia. Quando sono uscito di nuovo dal carcere nel 1987 è stata ratificata finalmente la pace a Cosenza e non ci sono stati più problemi di questo tipo fino all’epoca della mia collaborazione che risale al 1995».
Franco Pino spiega inoltre che «dopo questa pace si stabilì che le estorsioni grosse» – ad esempio quelle che riguardavano lavori su tratti autostradali o importanti lavori pubblici – «venivano gestite in comune dalle famiglie e divise secondo una logica spartitoria». Ma tra il 1983 e il 1984 Franco Pino conosce in carcere a Palmi, Luigi Mancuso. E’ il periodo del processo delle “Tre Province”. L’ex boss ammette che all’epoca le dichiarazioni di Pino Scriva, sulla scala gerarchica della ‘ndrangheta, avevano creato un po’ di difficoltà all’intera organizzazione.
La riunione di Nicotera Marina e il “no” di Franco Pino
Il pentito Franco Pino dice di essere stato uno dei primi ad aver rivelato ai magistrati del progetto stragista pensato da Cosa Nostra per combattere lo Stato, dopo i delitti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Il collaboratore di giustizia, come ha confermato nel processo “Ndrangheta stragista”, racconta i particolari di una riunione, organizzata da Luigi Mancuso a Nicotera Marina. «Dopo l’attentato al dottore Falcone in Sicilia, i siciliani si rivolsero alla ‘ndrangheta calabrese sottolineando il fatto che la repressione da parte dello Stato avrebbe coinvolto comunque anche noi con le conseguenze di una normativa antimafia che sarebbe stata applicata a tutti».
Secondo Cosa Nostra «a quel punto poteva convenire anche a noi unirci alla loro strategia di attacco allo Stato in modo da costringerlo a trattare. Questo sarebbe avvenuto ponendo in essere, da parte nostra, attentati nei confronti di carabinieri. Così Luigi Mancuso mi mandò a chiamare per partecipare ad una riunione a Nicotera Marina al bar Sayonara alla quale parteciparono, oltre me, i maggiori esponenti della ‘ndrangheta: quali Santo Carelli per la zona di Sibari, Farao Silvio e Marincola Cataldo per Cirò, Franco Coco Trovato e Giuseppe De Stefano per Reggio Calabria, Nino Pesce per Rosarno e per conto dei Piromalli». Progetti delittuosi che non trovarono sponda in Franco Pino e Luigi Mancuso: «Io non ero d’accordo con questa soluzione e nemmeno, ricordo, Luigi».
Cosenza non dipendeva da Polsi
L’attuale geografia della ‘ndrangheta pone la provincia di Cosenza come un territorio riconosciuto come “Crimine” dalla “mamma di San Luca”. Sono gli ultimi collaboratori di giustizia a dirlo, di cui vi abbiamo dato conto in un altro servizio (leggi qui). Franco Pino, invece, ci riporta indietro di almeno 30 anni, quando la situazione era ben diversa. «Noi cosentini, non rispondevamo direttamente alla Madonna di Polsi, per noi il riferimento era Piromalli, se poi Piromalli rispondeva a Polsi erano affari suoi; anche se in ogni caso erano cose che sapevo bene. Cosenza, in realtà, non aveva una tradizione ‘ndranghetistica importante come quella di Reggio o della ionica, anzi era un locale di ‘ndrangheta considerato “infame” anche perché alcuni esponenti avevano interessi nel settore della prostituzione, cosa ritenuta dìsdicevole per uno ‘ndranghetìsta».
«Comunque, chi era o voleva arrivare ad un certo livello criminale non poteva prescìndere da questa appartenenza e da queste regole. Alla mìa epoca, Cosenza era quindi un locale di ‘ndrangheta conosciuto nell’ambiente criminale, ma non formalmente aperto. A differenza, ad esempio, di Corigliano che era riconosciuto come locale e rispondeva a Polsi tramite i De Stefano, corrispondendo anche parte deiproventi delle estorsioni». Infine, Franco Pino dà conto al pm Annamaria Frustaci del penso criminale di Luigi Mancuso che «intervenne per risolvere una questione relativa all’estorsione fatta» a un commerciante.