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Uccidere un amico per fare contenti altri amici. Un bel dilemma quello che Franco Pino si trova ad affrontare nel 1982, il suo anno ruggente. Il boss lo risolve all’antica: tenta di salvare la vita alla vittima designata, anche a costo di mettere a rischio la propria. Tra le tante storie di amicizie tradite nel mondo del crimine organizzato, ce n’è una che corre sulla rotta ‘ndrangheta-camorra e che fa eccezione alla regola. Resta però una storia di malavita. Il che vuol dire che, pure stavolta, manca il lieto fine.
L’antefatto si svolge a San Lucido, centro nevralgico della guerra di mafia che in quegli anni impazza a Cosenza. È lì, nella piccola località tirrenica, che Pino ha scelto di stabilirsi con tutta la sua banda. Ritirata strategica la loro, perché da San Lucido continuano a muovere guerra a al gruppo nemico di Franco Perna. E in più, possono contare sull’appoggio del padrino locale, Nelso Basile. Quest’ultimo, poi, è riuscito ad affiliare al suo clan quattro napoletani della Nuova camorra organizzata. E dato che gli amici dei miei amici sono miei amici, i quattro cutoliani si mettono anche al servizio di Franco Pino.
‘O pazzo, cento omicidi
In quel periodo, seminano anche un discreto terrore tra la città e l’hinterland. Nell’81 uccidono gli amanti impossibili, Mario Turco e Ines Zangaro, un anno dopo firmano l’omicidio eccellente dell’avvocato Silvio Sesti e, nello stesso anno, attentano platealmente alla vita di Franco Carelli all’interno del pub “Apocalisse” di Rende, proprio nel giorno dell’inaugurazione. Nel quartetto brilla di luce sinistra un certo Sergio Bianchi, da tutti appellato con un soprannome poco rassicurante: ‘O pazzo.
Sulla sua personalità si soffermerà a lungo lo stesso Pino diventato ormai collaboratore di giustizia. Prima di cadere in uno scontro a fuoco con la polizia, il 23 maggio del 1983, ‘O pazzo si era distinto nel conflitto in corso all’epoca tra la Nco e la Nuova famiglia, mettendo la firma su centinaia di agguati. «Era una persona pericolosa. Praticamente questo usciva la mattina e si prendeva la “taglia” su ogni persona della Nuova famiglia, si prendeva tre milioni a cadavere e ne ammazzava due o tre al giorno». Soggetto pericolosissimo, aduso alla cocaina, persino il Boss dagli occhi di ghiaccio ha paura di lui. E fa benissimo.
Uccidete il Frattaiuolo
A luglio del 1982, infatti, Bianchi va da lui e comincia a parlargli di «legami da rinsaldare». Un discorso di apparente amicizia che, però, va a parare poi in una direzione molto scomoda: «Sapeva che io ero intimo da decenni con un certo Franco De Rose detto il “Frattaiuolo” perché era originario di Fratta Maggiore. Era uno che mi aveva ospitato durante una latitanza, conoscevo tutta la sua famiglia. Avevo un rispetto per lui, ma un rispetto veramente…». De Rosa è capozona cutoliano a Fratta Maggiore. Anche Bianchi sta con ‘O professore, ma in quel gruppo è in corso una faida. E lui, insieme ai suoi compari, ha deciso che il “frattaiuolo” deve morire, perché il suo posto è stato assegnato ad altri.
«Bianchi mi disse, ma sai: noi abbiamo ammazzato a Turco, a Sesti. E io gli ho risposto: senti, tu puoi avere ammazzato pure a mezza Italia. Insomma, è nato un battibecco». La richiesta avanzata a Pino è tra le più indecenti: convocare De Rosa a Cosenza per attirarlo in una trappola dato che al suo arrivo avrebbe trovato il commando di napoletani pronto a giustiziarlo. «Se lo chiamavo io, De Rosa correva. Era già qua», spiega Pino ai magistrati. ‘O pazzo, dunque, ci aveva visto giusto, ma in cambio ottiene un gran rifiuto: «Mi ha detto: tu ci devi fare il favore. E io mi sono rifiutato di fargli il favore».
Guardati dagli amici
Il giorno stesso Pino alza il telefono e compone il numero che Franchitiello gli ha lasciato per le emergenze. È quello di un circolo ricreativo di Fratta Maggiore. Chiede di lui, se lo fa passare e poi gli espone i fatti: «Gli ho detto: senti Franchì, prima cosa di tutto guardati che se no ti ammazzano. Secondariamente, da oggi in poi, se ti dovessi chiamare per venire qui, tu non venire. E se ti vengo a trovare, tu non ti fidare neanche di me. Gli ho detto così perché ho pensato che domani mattina potevano pure sequestrarmi e farmi fare la telefonata con la forza».
L’indomani, però, non lo cerca nessuno con propositi bellicosi. Solo i carabinieri, che lo portano in carcere dove trascorrerà i quattro mesi successivi. Una volta uscito, il suo pensiero corre di nuovo all’amico in pericolo. Qualcosa si agita in lui, una cattiva vibrazione: «Io lo avevo avvisato a questo De Rosa. E allora ho pensato: se lo sequestrano e prima di morire lui gli racconta tutto? Ho detto, mannaggia alla miseria, questo mi mette nei guai pure a me». La paura ha il sopravvento e Pino l’affronta di petto, con una decisione radicale: «A San Lucido, non ci vado più».
In Sila c’è un fucile che…
Va a nascondersi in Sila, in una villetta presa in affitto per l’occasione dove sa che troverà anche un fucile calibro 12 caricato a pallettoni. Per ogni evenienza, non si sa mai. Da lì, segue l’evoluzione degli eventi, ma la sua assenza finisce per essere notata. «Nelso Basile venne in Sila per chiedermi di tornare a San Lucido. Non l’ho fatto venire a casa, l’ho incontrato in un ristorante di Camigliatello e gli ho detto: Basì, io ti rispetto più di prima, ma con questi napoletani non mi trovo. Sono amici, brava gente, uomini. Ma non mi ci trovo. La verità, però, è che avevo paura».
Pino, infatti, ha già saputo che il suo amico Franchitiello De Rosa è scomparso. Non è tornato più a casa. E questo può voler dire solo una cosa: «Che l’hanno ammazzato e poi fatto sparire. E a quel punto ho temuto che davvero gli avesse parlato di me e di come avevo tentato di aiutarlo. A Basile non gli ho fatto capire niente. Gli ho detto solo: senti, per due o tre mesi lasciatemi in pace perché ho guai miei da risolvere». Il problema si risolverà di lì a poco, in modo che a quelle latitudini può essere giudicato naturale: con la morte violenta di Basile.
Il buon diavolo
Con lui, finisce anche la lugubre epopea dei camorristi a Cosenza. Una stagione breve ma intensa, macchiata dal sangue e con in mezzo un’amicizia finita male. Un ricordo che tormenterà Pino anche nei mesi a venire: «Mi andava alla testa perché io lo sapevo che l’avrebbero pizzicato a De Rosa. Io lo conoscevo bene bene bene. Non era cattivo, anche se apparteneva a Cutolo e ne aveva combinate più del diavolo, però fondamentalmente era un buono. Se lo prendevi con le buone a De Rosa, ottenevi tutto da lui».