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«Ciò che sta accadendo a Cetraro, in provincia di Cosenza, deve diventare una questione di ordine pubblico nazionale per restituire serenità ai cittadini, agli imprenditori e al nuovo sindaco Giuseppe Aieta, alla sua giunta e al consiglio comunale». Ettore Rosato, deputato e segretario del Copasir, ha accolto l’appello del primo cittadino cetrarese e posto l’accento su quanto accaduto ieri sera nella cittadina tirrenica. Il fuoco ha distrutto il parco che ospita una decina di mezzi della ditta Ecologia Oggi nel corso di un incendio che ha senza dubbio una matrice dolosa, appena tredici giorni dopo l’efferato delitto in cui ha perso la vita il meccanico 59enne Pino Corallo. «L’escalation criminale che da anni si sta manifestando in quel territorio – prosegue – deve avere una risposta decisa e precisa da parte dello Stato a cominciare dall’apertura della nuova caserma dei Carabinieri che chiederemo di elevare a tenenza per contrastare una criminalità senza scrupoli. A Cetraro e al Tirreno cosentino dev’essere restituito un orizzonte di speranza affinché quel tratto di costa possa programmare il proprio sviluppo senza condizionamenti di sorta».
L’ombra della ‘ndrangheta
Ma che cosa sta accadendo a Cetraro? Le indagini per i due episodi sono ovviamente in corso e non se ne conoscono ancora gli esiti, ma la decisione della procura di Paola di trasferire gli atti dell’omicidio alla Dda di Catanzaro, non lascia spazio a interpretazioni: dietro c’è l’ombra delle cosche di ‘ndrangheta, le stesse che lo Stato, dopo una memorabile operazione giudiziaria del 2016, denominata Frontiera, sembrava aver in qualche modo sgominato. E se di ‘ndrangheta si tratta, le vicende sembrano avere un filo conduttore.
Anni di fuoco
Potrebbe non essere un caso, infatti, che i drammatici episodi si siano registrati negli stessi giorni in cui lo Stato ha provato a mettere per sempre la parola fine all’egemonia dei Muto, storico clan che a Cetraro ha la sua Roccaforte dagli anni Ottanta.
Ma facciamo un passo indietro. La mattina del 19 luglio 2016, per rendere meno doloroso il ricordo delle stragi di via D’Amelio, lo Stato ammanetta Franco Muto, meglio conosciuto come “Re del pesce”, indicato dalla magistratura come boss dell’omonima cosca di ‘ndrangheta. Insieme a lui finiscono in carcere numerosi parenti, la moglie Angelina Corsanto, tre dei loro cinque figli, il genero ed altri soggetti ritenuti sodali. Per lo Stato è pesante colpo inferto alla criminalità organizzata. Il boss Franco Muto viene condannato in via definitiva a 20 anni di carcere e costretto al regime del 41 bis, il cosiddetto “carcere duro”. Ma non ci rimane per molto tempo. Presunti gravi problemi di salute riportano il boss nell’abitazione cetrarese, poi torna ancora dietro le sbarre e, infine, viene mandato definitivamente a casa ad espiare la pena in regime di detenzione domiciliare. Nel frattempo, le nuove leve scalpitano, soprattutto per incoronare il successore. A Cetraro pistole, fucili e kalashnikov circolano come moneta, di tasca in tasca. A niente valgono i tentativi della magistratura e delle forze dell’ordine di arginare il fenomeno della criminalità con perquisizione e arresti. A Cetraro, gli ‘ndranghetisti si moltiplicano come le cellule maligne di un cancro. E dopo qualche anno di pax, si torna a sparare. Si spara contro l’auto di un maresciallo, contro chi commette uno sgarro, contro un uomo fermo a una stazione di servizi, poi, per far capire chi comanda, si commette un omicidio davanti a una pizzeria in piena attività, a meno di trecento metri dal posto in cui era in corso un’operazione “Alto impatto” delle forze dell’ordine. Una smacco allo Stato, uno schiaffo a mano aperta che brucia come una fiamma. Eppure, lo Stato non si riscatta. A diciotto mesi da quella tragedia, non si conoscono né gli esecutori né i mandanti della morte di Alessandro Cataldo.
Il nuovo omicidio
Lo scorso 26 maggio la città rielegge per la terza volta Giuseppe Aieta, un sindaco che nei primi due mandati aveva apertamente dichiarato guerra alla ‘ndrangheta e alzato il velo sulla questione del porto, principale luogo di affari della cosca Muto, dopo il traffico di stupefacenti. La festa dura poco: meno di ventiquattro ore dopo, due sicari smorzano l’entusiasmo con una scarica di colpi che uccide Pino Corallo. Né la data né il posto sono casuali: Corallo viveva in una contrada poco distante dal luogo del delitto e i sicari avrebbero potuto attenderlo lì, invece lo hanno fatto di giorno, erano circa le 18, in un’area a ridosso della trafficatissima ss18, affinché tutti potessero vedere. Se qualcosa fosse andato storto, ci avrebbe rimesso la vita anche qualche ignaro passante. Il messaggio è chiaro: noi siamo vivi e vegeti e nessuno può fermarci, né lo Stato né Aieta e la sua consiliatura anti ‘ndrangneta.
L’acquisizione dei beni e la nuova caserma
Lo dicevamo poc’anzi: in questo dramma di civiltà, niente è casuale. Nei giorni scorsi sono successi due fatti che possono aver toccato i nervi scoperti degli ‘ndranghetisti o aspiranti tali. La prima, la più plateale, è la partecipazione del Comune di Cetraro alla manifestazione di interesse per l’acquisizione di numerosi immobili confiscati riconducibili al boss Franco Muto. Tra questi, l’imponente struttura a ridosso della ss18, la casa in cui il boss ha trascorso la detenzione domiciliare, ha controllato il territorio per quarant’anni e dettato legge, sostituendosi, molte volte, allo Stato. «Finché c’è lui – diceva un pescatore in un’inchiesta giornalistica del 2023 – si sta tutti bene». Ora è arrivato lo sfratto esecutivo e il simbolo del potere, dell’egemonia ‘ndranghetista, potrebbe ben presto passare nelle mani del Comune. La pratica dovrà essere portata avanti proprio dal neo sindaco Giuseppe Aieta e dalla sua squadra di lavoro.
C’è poi un altro fatto che innervosisce i malviventi. La pratica di acquisto della nuova caserma dei carabinieri, una struttura pronta da almeno un decennio e mai entrata in funzione per i soliti cavilli burocratici che si mettono di traverso, è alle battute finali. Appena quattro giorni fa, i responsabili della Provincia di Cosenza, presieduta da Rosaria Succurro, hanno avuto un incontro con la società costruttrice per definire la compravendita dell’immobile, circostanza con cui finalmente la comunità potrebbe accogliere la nuova compagnia dei Carabinieri, a supporto della stazione già esistente. Questo significherebbe più forze dell’ordine, più deleghe di indagini, più carabinieri sulle tracce dei delinquenti. Uno smacco alla delinquenza locale, che sta agitando gli animi più del previsto.
Le parole di Aieta
Il sindaco Giuseppe Aieta in mattinata ha pubblicato un video sulla pagina Facebook del Comune, per chiedere ai cittadini di continuare a credere nella giustizia ma, soprattutto, per chiedere alle istituzioni che il “caso Cetraro” sia attenzionato a livello nazionale. «Io sono sconfortato, scoraggiato – ha detto il primo cittadino, visibilmente provato -, ma ho il dovere di provarci. Ai cittadini non chiediamo di fare gli eroi, ma soltanto di rispettare le regole. Dobbiamo necessariamente ricostruire l’immagine di questa città e io sono qui per questo. Quando non mi sarà più data la possibilità di farlo, non ci metterò più di un secondo a lasciare questo posto, perché ho necessità di essere rassicurato di poterlo svolgere con tranquillità e serenità, in modo che io possa dare speranza ai cittadini».