Il rito della Giudaica, rappresentazione teatrale dell’ultimo giorno di vita di Gesù, torna dopo quattro anni di assenza dalle scene e regala nuove emozioni. A Laino Borgo, nel giorno del venerdì santo, si è rinnovata la centenaria tradizione religiosa che è anche, e soprattutto, cultura identitaria di un intero territorio. A interpretare Gesù c’è ancora Innocenzo Donato, che dà il meglio di sé nella scena clou. «Elì, Elì, lemà sabactàni?», ovvero, “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?, urla dalla croce prima di esalare l’ultimo respiro, mentre la folla che assiste silenziosa in corso Umberto si lascia andare a un applauso commosso e liberatorio.

Cos’è la Giudaica

«Per Laino Borgo la Giudaica è tutto. È una tradizione antichissima, che si tramanda da centinaia di anni e il testo, risalente al ‘600, si impara in famiglia. A turno, tutti i cittadini della comunità partecipano all’evento. Non c’è un solo attore professionista, è gente del popolo che reinterpreta la Passione di Cristo». Sono le parole della sindaca Mariangelina Russo, visibilmente emozionata.

«Questo – continua – è un evento molto dispendioso, non solo in termini economici. Occorrono molti mesi di preparazione ed è per questo che non si può svolgere tutti gli anni, sarebbe impossibile». I numeri parlano chiaro: per la realizzazione dell’opera necessitano centocinquanta figuranti, novantaquattro attori e migliaia di strumenti, accessori e costumi di scena. Dopo tre mesi di prove serrate, tutti i partecipanti, con la folla al seguito, si radunano alle 10 in piazza della Repubblica e per otto lunghe ore vanno avanti trascinandosi da una scena all’altra, in tutto diciannove, ripercorrendo i momenti salienti delle ultime ore di vita di Gesù, dall’ultima cena alla crocifissione. L’evento culmina in Corso Umberto, intorno alle 18.

L’emozione della crocifissione

La scena più suggestiva è certamente quella della morte di Gesù. L’attore che lo interpreta è Innocenzo Donato. «La Giudaica non è una recita – precisa -, bisogna calarsi nel personaggio e provare a immedesimarsi nelle sofferenze di quest’uomo». Soprattutto durante la prova finale. «Sento un brivido, un calore nel petto, e non vedo l’ora di dire “Elì, Elì, lemà sabactàni?” (“Dio mio, Dio perché mi hai abbandonato?”, ndr) per liberare l’emozione di tutta la giornata e di questi mesi di prove. È una sensazione forte, molto bella».