«Oggi, all’Università di Tor Vergata, si è tenuta una commemorazione in onore di Francesco. È stato un momento pieno di emozione, profondo, vissuto con rispetto e affetto sincero». Il senatore Mario Occhiuto con un post su Facebook ha raccontato una mattinata piena di commozione dedicata alla memoria di suo figlio Francesco.

«Ringrazio con tutto il cuore il Magnifico Rettore, i professori, i colleghi di Francesco, gli amici e tutte le persone che gli hanno voluto bene. Chi ha reso possibile questo incontro, e chi ha scelto di esserci, anche solo in silenzio. In questi giorni, ripensando al cammino che ho fatto accanto a Francesco, rivedo con occhi nuovi molte delle cose che mi ha detto. Le sue confidenze, i suoi pensieri, le sue fragilità. Io che cercavo di incoraggiarlo verso scelte più concrete, più sicure per il suo futuro.

E invece mi accorgo che era lui, con la sua dolcezza e profondità, a indicarmi una strada: quella che oggi comprendo essere la più giusta e la più umana. Oggi quei suoi pensieri delicati, fin troppo sinceri, che allora mi sembravano quasi ingenui, mi appaiono invece come insegnamenti. Come tracce. Ho ascoltato parole bellissime da parte dei suoi colleghi e dei suoi professori. Ne hanno parlato come di una persona riservata ma profondamente premurosa, competente nel lavoro ma empatica nel relazionarsi con gli altri. Una persona gentile, rispettosa, capace di creare legami autentici, di ascoltare con attenzione, di portare calma e profondità anche nei contesti più difficili. Nel suo modo silenzioso e determinato, Francesco ha lasciato un’impronta umana e professionale che oggi tutti riconoscono. Credeva in una ricerca che avesse uno scopo umano, che fosse davvero utile.

Non cercava visibilità, né titoli. Quando parlava del suo lavoro con quei suoi sensori per studiare i disturbi del comportamento alimentare, si accendeva: era felice quando riusciva a far funzionare qualcosa. All’inizio, il suo approccio era stato accolto con un po’ di scetticismo. Ma oggi, proprio i suoi colleghi dicono che quel metodo –così rispettoso della persona, così interattivo– era il più efficace. Perché coinvolgeva i pazienti, li rendeva partecipi. Ora tutti vogliono che la ricerca continui così come lui l’aveva impostata. Perché aveva ragione lui. Oggi sento che la memoria di Francesco va custodita non solo con il ricordo, ma anche con un impegno.

Un impegno per una ricerca più umana. Per un’università e una società che non dimentichino mai che tutto –il sapere, il lavoro, la scienza– dovrebbe essere al servizio della persona. Se troverò la forza, forse nascerà una fondazione. Un luogo semplice, ma vero. Che si ispiri alle cose in cui Francesco credeva: la cura e l’ascolto degli altri, la ricerca fatta con verità. Che parli a chi, come lui, spesso si sente o sceglie di restare quasi invisibile, essenziale. Ma ha dentro di sé un mondo da donare. Non so ancora come. Ma se accadrà, sarà per lui. E con lui. Grazie, di cuore, a tutti».